Scriveva.

Un memoriale, lettere, biglietti:

due volte al giorno circa,

in quei cinquantacinque

interminabili.

A mano, fogli bianchi.

Seduto rannicchiato

sul fianco che doleva.

“Miei cari”, e spesso

“Mia dolcissima”.

A volte più formale.

Monsignore,

Onorevole,

Presidente, Colleghi.

Beatissimo Padre, Santità.

Il testamento,

ricopiato e corretto

a più riprese.

Titubante commosso

malinconico rabbioso.

Minacciava implorava.

Da padre da marito

impartiva istruzioni: ritirare

una camicia al lavasecco,

vaccinarsi contro l’influenza,

chiudere il gas la sera.

Famiglia amata che ha bisogno

di lui.

Forse non si deve essere,

neppure poco, felici:

scriveva.

 

 

Pregava.

Inginocchiato a terra,

sdraiato sulla branda.

Con voce bassa, appena sussurrata.

Solo una notte urlando, pietà di me,

nel sonno. E poi maledicendo

“ricadrà il mio sangue su di loro”.

Ma sia fatta

la volontà di Dio, mi assista

la Madonna:

ubbidiente umilmente,

nella pienezza della fede

cristiana.

Ascoltava

la Messa registrata,

meditava il Vangelo, recitava

il rosario.

La Chiesa del Signore

non consegna

i suoi figli al macello.

Mi ha avuto

interprete suddito

modello. Non può volermi

martire, in questa muta

indegna catacomba:

pregava.

 

 

Ammoniva.

Ucciso tre volte,

chiamato a pagare

da solo

per colpe di molti.

Prigioniero politico

di un attacco

al cuore dello stato,

nel processo popolare

a trent’anni di potere.

Potere condiviso con altri,

lividamente zitti

impauriti, impantanati

in ambigue posizioni,

ostinati immobilisti a difesa

della ragion di stato,

di un astratto principio

legalista.

Rimasto senza amici,

sono stato ucciso tre volte;

tutti d’accordo

nel preferirmi cenere.

Non salverò nessuno.

Gli onesti piangeranno,

ne sarete travolti:

ammoniva.

 

 

Ricordava.

Discorsi pronunciati

in Parlamento,

fumosi nel dire

nel non dire,

commentati

derisi applauditi.

Bilanciere di opposte

ideologie, cauto assertore

di accorte convergenze,

alleato a spuntati

neutrali compromessi.

Perseguite amicizie

vantaggiose,

impedite ostilità

inquietanti;

trattative corruzioni

insabbiamenti.

C’era qualcosa, a consolare.

Innocui itinerari

affettivi, indulgenti abitudini

domestiche, come

minestre di verdura a cena,

carezzare il nipote bambino,

leggere un libro

in vestaglia la domenica.

Pur tra tante mie colpe

ho vissuto

con delicate intenzioni:

ricordava.

 

 

Moriva.

Ne uscirà e non sa come,

se graziato o cadavere.

Tutto è inutile

quando non si vogliono aprire

le porte.

Indicibile angoscia della morte,

dopo un calvario di lunghe attese.

Intorno tragiche maschere

di stoffa, allucinati

occhi feritoie, voci scomposte

negli ordini severi.

Alzarsi in silenzio, seguirli

ma dove, tenebra della notte

luce di un’alba sospirata.

Eppure rassegnato, quasi in pace.

Ci rivedremo, tornerò in altra forma,

miei cari che abbandono

e non vi lascio.

Vorrei capire cosa sarà dopo.

Ci fosse luce, sarebbe molto bello:

moriva.

 

 

«Gli Stati Generali», 8 maggio 2022