MARCO VANNINI, MISTICA, PSICOLOGIA, TEOLOGIA – LE LETTERE, FIRENZE 2019
“Non ci sono date oggi che menzogne”, scriveva Simone Weil. Questa sua lapidaria e sconfortata constatazione viene riportata come esergo nell’ultimo libro di Marco Vannini, in cui si contestano due false scienze della contemporaneità, la psicologia e la teologia, assurte a mito e/o verità rivelata nell’immaginario collettivo, nei media e nella pubblicistica culturale totalizzante (o totalitaria?).
Marco Vannini (San Piero a Sieve, 1948) è oggi considerato il più importante studioso italiano di mistica cristiana e di Meister Eckhart, di cui ha curato tutte le opere, latine e tedesche. Si è occupato e ha tradotto molti autori spirituali (Agostino, Giovanni Gerson, François de Fénelon, Margherita Porete, Giovanni Taulero, Anonimo Francofortese, Martin Lutero, Angelus Silesius), indagando la fenomenologia mistica dal punto di vista teoretico e storico anche in altre religioni: induismo, buddismo, ebraismo, islamismo. Del cristianesimo ha messo in rilievo il rapporto con la fede popolare e con la ragione, collaborando a inchieste condotte con autori dichiaratamente atei, come Corrado Augias e Massimo Polidoro. L’ottica originale e innovativa con cui ha guardato all’esperienza mistica ‒ svincolandola da tutte le dottrine e pratiche religiose, e facendone invece un metodo di conoscenza e di libertà spirituale ‒ ha suscitato dibattiti e contestazioni da parte dell’ortodossia cattolica, con cui lo studioso fiorentino non ha mai cessato di confrontarsi e di polemizzare, convinto che per essere fedeli al messaggio evangelico si debba andare oltre lo stesso cristianesimo e i suoi condizionamenti storico-ideologici (cfr. Oltre il cristianesimo, Bompiani 2013): dogmi, encicliche, celebrazioni, istituzioni, riti, miracoli.
In questo nuovo volume Vannini riprende i temi che gli sono propri: il richiamo al ruolo fondamentale dello spirito, la necessità di svuotarsi della propria egoità, la fede come allontanamento dalle opinioni comuni, la concezione di un Dio privo di attributi, pura luce. Rifiutando una Chiesa che privilegia un credo esteriore, sociale, politicizzato, e una fede consolatoria e superstiziosa, ribadisce con forza la convinzione che la verità possa essere raggiunta solo attraverso lo scavo nell’interiorità e il distacco da ciò che è molteplice, vano, perituro. Se la mistica va intesa come ricerca della libertà interiore ed esteriore, al di là di ogni suggestione culturale o morale, due filosofi ne sono stati profetici portavoce: Eraclito e Nietzsche, entrambi consapevoli che non è la minima vicenda umana dell’individuo a dover essere indagata e perseguita, né ciò che nella storia è relativo e contingente, ma che è necessario trascendere materia e tempo, contingenza e finitezza, per risvegliarsi allo spirito.
Proprio lo Spirito (“l’elemento essenziale dell’anima, il più elevato e, insieme, il più profondo”) è il grande trascurato, il grande esiliato dalla cultura moderna. Invece è da esso che si deve ripartire per trasformarsi ontologicamente, per “essere l’essere”, fatto di intelligenza e amore universale. Ciò che ci distrae dall’accogliere in noi l’eterno che siamo e l’eterno che è, sono le sirene dell’egomania, gli abbagli menzogneri del prestigio personale ed economico, l’adesione a modelli imposti mediaticamente. “Due sono oggi le fonti primarie della menzogna in cui siamo immersi: psicologia e teologia. La prima in quanto falsa scienza dell’anima; la seconda in quanto falsa scienza di Dio… Fonti primarie dell’alienazione contemporanea”.
Durissime e derisorie sono le parole con cui Vannini demolisce psicologia e psicanalisi, discipline ingannevoli che illudono le persone di poter potenziare il proprio mutevole io, che in realtà è solo un agglomerato di contenuti mentali ‒ labili e condizionati dall’esterno ‒, con il miraggio di un’affermazione sociale e di un’emancipazione da complessi fisici e caratteriali, e con l’esaltazione del corpo e della sessualità. Nel ridimensionare l’invenzione novecentesca di Freud, l’autore si rifà non solo agli insegnamenti dei mistici, ma anche al pensiero di filosofi classici e moderni (Platone, Plotino, Böhme, Spinoza, La Rochefoucauld, Hegel, Kierkegaard, Wittgenstein, Weil, Guénon), con la certezza che l’ipertrofia dell’ego non porta alcun appagamento, e anzi finisce per ingabbiare nelle pastoie della soggettività e della volontà auto-affermativa. Al contrario, è proprio nell’uscire dall’amor sui, nel distacco dalle passioni e dagli accidenti esteriori, che si può ambire alla pace interiore, alla liberazione da ogni dipendenza ambientale e culturale: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv18,26); “Distàccati da tutto” (Plotino); “Se vuoi udire in te la Parola eterna / Devi prima del tutto sottrarti all’udire” (Pellegrino Cherubico); “La cosa migliore per l’anima è stare in un libero nulla” (Eckhart); “Non ottiene l’uomo perfetta beatitudine, / Se prima l’unità non ha risucchiato l’alterità” (Silesius); “Chiunque entri dicendo ‘io sono il Tal dei tali’, lo percuoterò sul viso” (Rūmī).
Tra i condizionamenti più pericolosi, Marco Vannini segnala quelli suggeriti o addirittura prescritti dalle religioni ufficiali, dalla teologia, dalla psico-teologia contemporanea, che hanno cercato di impadronirsi di Dio per metterlo al servizio di una società, di una morale, di un singolo popolo, degradandolo così a idolo da utilizzare secondo i propri bisogni e fini. L’uso politico della religione, finalizzato al conseguimento e al mantenimento del potere, è evidente sia nell’ebraismo che nell’islamismo, nati entrambi da un’idea di conquista e dalla pretesa di essere gli unici depositari della verità. Dopo aver creato artificiosamente leggende fondative “per porsi al riparo dalla ragione”, queste dottrine hanno parlato con presuntuosa arroganza di Dio (che è inconoscibile) o addirittura a nome di Dio.
Anche il cristianesimo, che pure si manifesta in una dimensione più umana, con un Dio Padre che offre la vita del Figlio per la salvezza delle creature, mantiene in sé caratteri di affermatività dell’ego, di appropriazione e attaccamento: nella preghiera di esaudimento, nel desiderio di sopravvivenza ultraterrena, nel concetto di una divinità personale pronta all’ascolto e all’intervento, nella speranza di resurrezione come ripristino della corporeità, nel miracolismo come evento magico. Se Gesù predicava il distacco dalla carne e dalla psiche e la rinuncia a sé stessi per nascere a una nuova vita, il cristianesimo odierno si è invece ridotto a filantropia, melenso sentimentalismo e generico moralismo, poiché privilegia l’aspetto sociale e temporale del messaggio evangelico, anziché il superamento della particolarità che, come insegna la mistica, libera lo Spirito in un assoluto luminoso e lieve, nell’eternità del tutto.
© Riproduzione riservata «Il Pickwick», 14 maggio 2019