FRANCO ASTE, FAME D’AMORE (1983) – DIALOGO INTERIORE (1988)
Franco Aste, nato nel 1930 nei pressi di Rovereto, emigrato giovanissimo in Svizzera, dopo aver dovuto interrompere gli studi per motivi economici, ha trascorso la sua vita tra la Chaux de Fonds e Basilea, lavorando come tecnico elettricista fino a quando, recentemente, un incidente lo ha costretto al prepensionamento. In Svizzera si è sposato, ha avuto tre figli che gli danno grandi soddisfazioni, e ha continuato a coltivare le sue passioni giovanili, dapprima il ciclismo e tante letture, oggi soprattutto la poesia. Aste è un uomo dai forti sentimenti, un generoso, un passionale: lo si capisce dalla vita che ha condotto e che racconta con slancio e asciuttezza dolomitica, e ancor più lo si capisce da ciò che scrive. Ha pubblicato in elegante veste grafica, impreziosita da notevoli riproduzioni artistiche, due volumi, che già dal titolo rimandano esplicitamente a una volontà comunicativa: Fame d’amore è il primo, del 1983, Dialogo interiore l’altro, del 1988. Il fine ultimo di questa scrittura sembra infatti essere il dialogo con il lettore, fortemente desiderato e perseguito sia nel testo che funge da commiato al primo volume, sia nella premessa autobiografica del secondo. Entrambi i libri hanno per sottotitolo una definizione volutamente e insistentemente umile, riduttiva: Meditazioni di un piccolo emigrato. I temi prescelti sono sì quelli tipici di molta letteratura dell’emigrazione (la partenza, il paese natale, il lavoro all’estero, la famiglia e l’amore), ma soprattutto una tensione religiosa e morale così ossessiva da oscurare talvolta la limpidezza lirica dei versi. Se le composizioni di Fame d’amore costituiscono per lo più una sorta di parabola per un vangelo quotidiano, meditazione generica sulla realtà dell’uomo d’oggi, giudicata con amaro pessimismo (Gioventù dei consumi, Dopo la morte degli ideali, Io e la terza età, Alla donna d’oggi), in temi più civili e sociali che direttamente religiosi, e con toni indignati da novello Savonarola (Partorirai solo / tanti piccoli aborti / che decreteranno / la tua sterilità / di corpo / e di spirito), in Dialogo interiore sono più frequenti gli ambienti, le atmosfere e le immagini riferibili al Vecchio e Nuovo Testamento (Pentecoste, Natale, Domenica delle palme, ecc.), ed è più evidente l’imperativo di usare la scrittura a fine didascalico, o addirittura con spirito missionario. Quella di Franco Aste è una poesia sermoneggiante, edificante, con una corposa intenzionalità retorica. Talvolta ricalca un linguaggio vagamente sindacale («Buttato il collare / della paura / che costringe alla dipendenza / della società professionale / ho capito / che l’età pensionistica / può significare / la liberazione»), talaltra la prosa scabra delle intenzioni recitate dai fedeli durante la Messa («Crescere / le virtù / per costruire / valori da investire / al servizio del prossimo»). L’indignazione morale è talmente tesa, il fine a tal punto prevarica i mezzi espressivi, da spingere l’autore a identificarsi in toto sia con il male del mondo («Rincorrendo musiche stonate / e variopinti coriandoli / m’è caduta la maschera / nella putredine / dell’umana sozzura»), sia con la salvezza aspettata da un intervento divino. Commuove, allora, l’ingenuità e la robustezza di tanta fede, di cui raramente si intuiscono tormenti o dubbi; stupisce l’ansia redentrice che spinge l’autore a identificarsi in Cisto, in Abramo, in Giobbe, in S. Francesco, persino nell’elemento creatore: «Quando sarà il mio turno / alla gestione del cosmo…»): vi si riconosce il segno ricorrente di caduta e risurrezione, umiliazione ed esaltazione tipico di tanta letteratura mistica. Esistono in Aste momenti di indubbia felicità inventiva, di più umile e accattivante leggerezza tematica, che dimostrano una notevole capacità metaforica non sfruttata appieno: anime disanimate, giorni lunghi come rammendi, col cervello d’asfalto, sdraiato sulla pelle dell’universo, sono invenzioni linguistiche di consistente spessore, spie di una sensibilità non comune, ma forse troppo trattenuta, con pudore tutto trentino.
«Agorà» (Svizzera), 24 gennaio 1990