Penelope
Non per lui,
lontano e indifferente
a quanto altro non fosse la sua casa
(i muri, intendo, suppellettili
come il letto – a lui obbedienti)
che sapevo
impaziente di un caldo viziato;
il mio corpo è ormai vecchio, gli occhi
ormai duri.
Ma io,
io per la tela stessa lavoravo.
Lei sola, in tutta Itaca,
aspettava la mia mano.
***
Antigone
Vedi che ho – per pietà – le mani sporche
‒ di pietà – insabbiate, le unghie nere, Creonte sire
severo, duro vate, suocero altero. Vedo
le tue bianche pasciute che sanno
proibire, sanno ammazzare (regali mani):
ma io non tremo. E voi vedete
(voi che tradite) (voi che sapete più di tutto tradire)
che io non tremo e che non temo.
Vili di tanto incapaci, di poco. Di un gesto
timorosi – di un cenno.
Giustizia
invocata da troppi, da lontano implorata da troppi;
e nessuno si muove. Ah, giustizia.
Io qui sola.
Sanno tutti cos’era da fare,
fanno finta di niente.
**
Ifigenia
Quello è mio padre. Quello alto
laggiù che parla al vento.
È lui il mio re: il più forte
del campo, il più giusto. Mi vanto
del suo nome, del suo cenno
imperioso mi compiaccio se
di fronte a invitati mi chiama
‒ che ci vedano
uguali
nel sorriso severo nell’agile caviglia.
Sono la figlia bella
colei in cui egli si specchia.
Proprio oggi in mio onore (giù
al porto) è la festa a cui prima
di tutte mi ha ordinato
di giungere: a me darà
il braccio nell’aprire le danze.
Per me farà accendere fuochi
farà alzare le vele alle navi.
**
Alcesti
Hanno detto dedizione.
Vivere
di uno che non può
più vivere: perciò morire. Con lui
o per lui è lo stesso, se si deve.
Ma non è stato questo.
Sapevo il patto: non era la mia aria,
non lo respiravo. Godevo una quiete maritale
con fastidi, non bramavo l’assoluto.
È che l’ho visto spaventato tanto
da sorriderne. Sempre un poco tremava
alle mie doglie, scappava al dolore
altrui: ma in quei giorni era terreo, bambino
piangeva aggrappato ai lenzuoli.
Mi misi a letto come a fare un altro
figlio;
lo feci nascere, cieco e avido.
**
Medea
Di loro mi pesa lo sguardo.
Lo taglio (lo sguardo) lo tolgo dal cuore,
pensiero di niente che ho voglia
di amare, di niente, di acqua.
Ho voglia di brucio, di fare pulito lo sporco.
Di loro mi pesano i gesti e il modo
che hanno di non parlare
di capire
di tradire.
Bambini
che poco somigliano ai giochi.
che poco somigliano a loro stessi.
(Se fossero miei.
Se fossero miei).
Decido che grande è l’amore
che uccide se stesso e grande è la carne
che uccide la sua carne. Non ho
pentimenti e troppo poco soffro.
Di me sono stati piccola parte
e per poco, cattivi: mi hanno presto lasciata.
Ma miei più di sempre
se sempre bambini saranno.
Se solo con l’aria li dovrò dividere.
Non voglio vedere l’amore
e intorno non lo sopporto.
Viva chi vuole. Chi sa.
La mia mano i miei piedi
sanno solo una strada
né la testa conosce dove tornare indietro.
Miei: più di tutto vi penso
e nessuno capisce.
Ma più miei dei miei stessi capelli
dei miei occhi. E più miei
del dolore.
**
Le vergini di Mileto
Furia di morte le prese a Mileto, furia
d’amore: di amare pure,
di non versare sangue (di non aprire
ai colpi il loro ventre).
Oh, loro che da sole
sapevano toccarsi, sole si amavano,
davano baci al vento – a quindici anni –
oh loro sole amavano se stesse
e le sorelle, amavano le mani delicate
e i turbamenti dolci: per questo che era amore
e non pazzia, piccole streghe della verginità,
per questo si impedirono il respiro
a quindici anni (una ogni notte
alto un laccio di morte appendeva) finché
turpi arrivarono i padri
i fratelli maggiori i creditori amanti
a pretendere ancora il pedaggio di sangue,
a trascinarle nude per le strade
di Mileto, e esigere rispetto
per le abitudini quotidiane.
(1976-1980)
In Rosa rosse rosa, Bertani, Verona 1986