FRANÇOIS-HENRI DÉSÉRABLE, ÉVARISTE – BALDINI+CASTOLDI, MILANO 2017

“Questa è la storia di Évariste Galois, genio della matematica che morì in duello a vent’anni”. Così, in una scarna frasetta, lo scrittore francese François-Henri Désérable condensa nel Prologo la vita del protagonista del suo libro, biografia romanzata di un personaggio storico e leggendario insieme.   Cos’altro si potrebbe dire, infatti di un’esistenza racchiusa nel breve scorcio di due date: 1811- 1832? Si può dire tanto, in effetti, e il trentaquattrenne scrittore francese Désérable (ex giocatore professionista di hockey su ghiaccio e autore già di quattro romanzi di successo) lo fa imbastendo una narrazione vivace e scaltramente maliziosa, con un occhio al mercato librario e un altro al materiale d’archivio.

Nato a Bourg-la-Reine, in una famiglia borghese e colta, secondogenito tra Nathalie e Alfred, Évariste Galois ebbe probabilmente un’infanzia serena, seguita con attenzione e affetto dalla mamma Adélaïde, che esercitava anche le funzioni di amorevole precettore dei figli, e il padre Gabriel Galois, insegnante liberale e giacobino, aspirante poeta, e sindaco della cittadina. Mandato a studiare a Parigi, nel liceo gesuita Louis-le-Grand, il ragazzo (definito dai docenti ribelle, indisciplinato, verboso, indisponente verso i compagni) rivelò presto una particolare predisposizione per la matematica nella branca dell’algebra astratta. Più che un semplice trasporto, il suo era un prodigioso talento, tale da mettere in crisi i superiori. Nonostante ciò, venne bocciato due volte all’esame di ammissione dell’École Polytechnique e in seguito fu espulso dall’École Normale per un atto di ribellione nei riguardi di un professore. La sua rivoluzionaria “teoria dei gruppi”, formulata nel 1830 e consegnata all’Académie des Sciences con il titolo Memoria sulle condizioni di risolubilità delle equazioni per radicali, non venne presa in considerazione da tre massimi studiosi della materia – Cauchy, Fourier e Poisson -, che addirittura ne smarrirono la copia originale. Sconvolto dall’indifferenza del mondo universitario e dall’improvviso suicidio del padre, Évariste si allontanò dalla ricerca, gettandosi con impetuosa furia nella mischia rivoluzionaria, tra le barricate parigine. Arruolatosi nell’artiglieria della Guardia, prese parte a tutti i tumulti e le sommosse che agitarono la capitale all’inizio del 1831. Con lui, Alexandre Dumas e un altro centinaio di rivoltosi. Venne arrestato durante un banchetto per “istigazione all’attentato alla vita e alla persona del re dei francesi”. Messo in prigione, processato, assolto, poi di nuovo incarcerato per sei mesi a Santa Pelagia, di notte in cella continuava a prendere appunti sulle sue tesi matematiche. Genio indocile e rabbioso eversivo, tornato in libertà si innamorò di una giovane donna, Stéphanie, compromettendone l’onore. Sfidato a duello dal fidanzato di lei, passò la notte prima dello scontro a sistemare il teorema algebrico a cui si era dedicato per tre anni, e a scrivere lettere di commiato, sicuro di venire ucciso. “Non ho tempo”, chiosava a margine di sette fogli zeppi di formule, oggi celebrati dalla comunità scientifica internazionale perché da essi sono nati i concetti di “gruppo” e “campo”, alla cui comprensione si è arrivati, a opera di algebristi diversi, solo dopo settant’anni.

Fin qui l’incredibile vicenda umana di un eccezionale e sventurato ragazzo vissuto nella Francia del primo ’800. Su come François-Henri Désérable ce l’ha raccontata, forse è il caso di esprimere qualche considerazione. In una sorta di riduzione macchiettistica della Storia a cronaca un po’ pettegola un po’ ridanciana, le vite dei vari personaggi si situano in uno spazio sospeso tra caso e necessità, in cui ogni nascita, morte ed evento socio-politico diventa accidentale e ininfluente, all’interno degli imperscrutabili disegni del “Vecchio”, un Dio assonnato e insensibile “che la maggior parte del tempo se ne frega”. A ogni occorrenza temporale raccontata, Désérable contrappone le vicende parallele di famosi contemporanei (Beethoven, Napoleone, Hugo, Stendhal…) impegnati in tutt’altre fondamentali occupazioni, a sottintendere che niente, nell’economia universale, ha carattere duraturo ed essenziale. Coinvolgendo continuamente il lettore a suffragare il suo punto di vista (“Sapete com’era l’Ancien Régime, no?”, “conoscete già il repertorio”, “Capite perché? No, voi non capite”, “Ma vi sto annoiando”, “come me, non avete capito una sola parola”), si dilunga in divagazioni spiritose, salti temporali, equilibrismi narrativi. Le rare situazioni collegabili alla sessualità vengono rese con scanzonata, goliardica grossolanità, esibendo nel contempo pillole di saggezza dal sapore alquanto scontato (“cos’è in definitiva la bellezza se non una forma di bruttezza alla moda?”, “il tempo è una puttana dal sorriso vendicativo”). I due capitoli conclusivi, narranti la morte di Évariste colpito da una pallottola allo stomaco, tendono a riscattare nell’esplicita emotività le cadute di stile del romanzo.

Peccato, perché la storia del giovane matematico avrebbe meritato un’empatia più controllata e rispettosa. Tant’è: la moda di una narrativa da salotto televisivo, importata dagli States, sta diffondendosi anche da noi, imponendo formule di scrittura scorrevolmente banali, purché accattivanti.

© Riproduzione riservata         «Il Pickwick», 15 dicembre 2021