GILLES DELEUZE – GIORGIO AGAMBEN, BARTLEBY. LA FORMULA DELLA CREAZIONE
QUODLIBET, MACERATA 2012
A Bartleby lo scrivano, pubblicato nel 1853, sono dedicati due saggi di Deleuze e Agamben editi per la prima volta da Quodlibet nel 1993, e riproposti dalla stessa casa editrice tre anni fa.
In chiunque legga (o rilegga) il giustamente famoso racconto di Melville, rimane impresso nella mente un turbamento particolare, una sorta di inspiegabile inquietudine nei riguardi della figura del protagonista, questo copista scialbo e catatonico, animato solo da «una livida disperazione», ostinato nella ripetizione di una ingiustificata e incomprensibile formula di rifiuto: «I would prefer not to».
Gilles Deleuze e Giorgio Agamben ci guidano nei loro interventi a sondare i meandri di una mente disturbata, (o forse profeticamente in rivolta), e di un atteggiamento di indifferente sospensione verso l’esistenza, indagando il senso della sua unica, ribadita risposta: e lo fanno in due modi differenti, il primo con strumenti linguistico-psicanalitici, il secondo ricorrendo a ipotesi più filosofiche.
Deleuze, in una sapiente rivisitazione della narrativa melvilliana, attribuisce alla frase di Bartleby una agrammaticalità che rivela la sua anomalia, non solo come indisponibilità: «preferirei di no», esprime una formula sospesa tra affermazione e negazione, pronunciata da «un uomo senza referenze, senza possessi, senza proprietà, senza qualità…senza passato né futuro, istantaneo…», in cui si può scorgere il prototipo del disadattato moderno, in fuga da se stesso e da tutti, che riassume nella sua rivolta i caratteri di altri personaggi di Melville: «La psichiatria melvilliana invoca costantemente due poli: i monomaniaci e gli ipocondriaci, i demoni e gli angeli, i carnefici e le vittime, i Rapidi e i Lenti, i Fulminei e i Pietrificati, gli Impunibili (al di là di ogni punizione) e gli Irresponsabili (al di qua di ogni responsabilità)».
Se i romanzi francesi e inglesi, dal loro nascere, «sentono il bisogno di razionalizzare», quelli americani e russi, già dall’800, si spingono lontano dalla ragione, dando vita a figure misteriose, folli, che sfidano ragione e psicologia. In questo, Bartleby diventa capofila di una serie di “uomini del sottosuolo” enigmatici e disubbidienti, falliti e rivoltosi, che tuttavia hanno il compito di mettere in crisi la coscienza contemporanea, ottusamente soddisfatta di sé, e priva di interrogativi e di scrupoli morali.
Da parte sua, Giorgio Agamben esplora il significato dell’essere in potenza, così come è stato individuato da Aristotele in poi. La sua coltissima rivisitazione del pensiero filosofico e teologico a partire dalle origini (non solo lo Stagirita, quindi, ma anche la cabala, Avicenna, il sufismo, Scoto Eriugena, Leibniz, per arrivare a Nietzsche, a Benjamin…) indaga «la costruzione di un’esperienza del possibile», «il pensiero che pensa se stesso», «il nulla come pura, assoluta potenza». Bartleby appartiene appunto a questa costellazione filosofica: «non stupisce, quindi, che egli dimori così ostinatamente nell’abisso della possibilità e non sembri avere la più piccola intenzione di uscirne». Il suo irriducibile «preferirei di no» è una sospensione del giudizio, ma riprende l’epoché degli scettici, non accetta e non rifiuta, non pone e non nega. Cosa annuncia, pertanto, con la sua formula caparbiamente ripetuta? Secondo Agamben esprime una rinuncia alla Verità, alla Legge, al Giudizio. In una nuova creazione del possibile, in una Palingenesi inverificabile.
© Riproduzione riservata www.sololibri.net/Bartleby-La-formula-della.html 11 novembre 2015