CLELIA ATTANASIO, LA STRADA DEGLI ULIVI – ERETICA, BUCCINO (SA) 2023
Un romanzo scritto con eleganza e profondità speculativa, questa prima prova narrativa a lungo respiro di Clelia Attanasio (1995) che, ottenuto il dottorato in Teologia a Cambridge, oggi è ricercatrice presso l’Università di Strasburgo. Finalista del Premio Campiello Giovani nel 2015, Clelia è autrice di racconti e dal 2020 dirige la rivista Quaerere.
La vicenda narrata ne La strada degli ulivi – ambientata in un soffocante paesino del Cilento -, si sviluppa all’interno di conflittuali rapporti familiari, che si riverberano non solo nel tempo (dal passato al presente, proiettandosi anche in un futuro avvertito come problematico), ma anche negli spazi circostanti, contagiati dalla stessa inquietudine respirata entro le mura domestiche.
L’esergo al libro riporta una citazione di J. Derrida, “Il mio lutto ha il volto di mia madre”, prodromo all’avvenimento iniziale, la morte dell’ottantenne Rachele Mele, vedova del medico Antonio Chirichella e madre di due figli, Angela e Ciro. Quest’ultimo, voce narrante del romanzo, comunica telefonicamente alla sorella giorno e ora del funerale: da subito si intuisce la distanza, non solo fisica, esistente tra i due: Angela è docente universitaria a Napoli, dove si era trasferita anni prima per motivi di studio e per allontanarsi dalla famiglia. Ciro è rimasto a casa, accanto alla mamma cui è morbosamente legato, rinunciando a qualsiasi affermazione professionale e culturale. Considera sua sorella “una donna artificiale, costruita su sé stessa”, e non lo sorprende l’indifferenza con cui accoglie la notizia del lutto, quasi sbadigliando. Ciro e sua moglie Marisa si occupano di tutte le incombenze relative alle esequie, Angela risentita e rabbiosa farebbe volentieri a meno di partecipare alla cerimonia.
Da questo contrasto iniziale si dipana la storia del piccolo nucleo familiare, segnata da incomprensioni, torti, gelosie, segreti. Ciro alterna le sue riflessioni private a considerazioni più generali sull’ambiente in cui vive, freddo e ostile con i giovani, incurante verso gli anziani, desolato nell’abbandono paesaggistico e architettonico, spietato nei rapporti umani. Ma è soprattutto nell’esplorazione di sé e del proprio vissuto che esercita una severa e rancorosa analisi: consapevole di essere “uno dei pochi superstiti di una generazione fuggi tiva” sacrificata al nulla, “fratello santo che avrebbe potuto fare tantissime cose, se solo non ci fosse stata questa sciagurata sorella a prendersi tutto lo spazio del mondo”. Della propria scontrosa riservatezza dà una lettura sincera: “Dietro le psicosi si celano spesso solo piccole paure. L’estraneo mi spaventa, mi inibisce, negli occhi degli altri c’è qualcosa che mi fa temere d’essere visto”.
I due fratelli (tra di loro si chiamano ‘Ngelì e Cirù, unico segno di affettuosa tenerezza) avevano con i genitori rapporti antitetici: Ciro si sentiva inadeguato e imbarazzato di fronte al padre, e dipendente in maniera nevrotica e devota dalla madre; Angela cercava protezione e sostegno nella figura paterna, ed esibiva sadicamente il proprio odio per la mamma provocandola, insultandola, o ignorandola con crudeltà. Se la figlia mantiene negli anni la propria autonomia lontana da casa, dedicandosi con successo alla carriera accademica, Ciro si rassegna al lavoro modesto di insegnante in un paese vicino, e a “un rapporto matrimoniale monco – fatto di svogliato sesso e poche parole” con una coetanea comprensiva, mai realmente amata.
La morte della madre suscita nei due fratelli domande e curiosità prima represse, principalmente riguardo al passato dei genitori, con il desiderio di ricostruire le loro scelte di vita, e di indagarne i silenzi. La madre Rachele era “donna dall’amore lontano, percepibile ma mai concreto. Un amore raffreddato” persino agli occhi del figlio maschio, adorato e adorante. Figura algida ed egoista, era tuttavia donna intelligente, colta, con ambizioni personali non conformiste. Il padre medico, di vent’anni più anziano della moglie, sembrava desideroso di mantenere una serenità di facciata all’interno della famiglia, cercando di attutire i contrasti, di smussare ogni animosità.
“Non credo di poter dire di aver conosciuto i miei genitori per quelli che furono prima di me, forse nemmeno dopo di me: es sere genitore vuol dire conservare un segreto inconfessabile”, afferma Ciro. E casualmente alcuni segreti mai sospettati vengono alla luce con il ritrovamento delle lettere che Rachele e Antonio si erano scambiati durante il loro lungo fidanzamento. In primo luogo il precedente matrimonio del padre di cui non erano mai stati a conoscenza, ma soprattutto la natura sfrontata e dominatrice di Rachele: “La rivelazione, la scoperta di mia madre – nuda, provocante, sensuale – è scesa su di noi come una tenda incandescente”. A sorpresa viene poi svelata, mentre i due fratelli discutono sull’eredità di un uliveto da spartire tra loro, un’ultima intuizione materna, taciuta a tutti e affidata a un foglio nascosto in bagno, riguardante proprio l’amatissimo figlio maschio.
Il romanzo di Clelia Attanasio dimostra grande abilità nello scavo psicologico, e un’attenzione introspettiva severa, espressa senza condiscendenza nella forma letteraria puntuale e curata, capace di adeguarsi alle particolarità caratteriali di ognuno dei quattro protagonisti.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net 3 agosto 2023