YŌKO OGAWA, LA CASA DELLA LUCE – IL SAGGIATORE, MILANO 2011
Quasi tutti i romanzi di Yōko Ogawa (Okayama,1962) sono stati pubblicati in Italia dalle edizioni Il Saggiatore: La casa della luce del 1990, è uscito nel 2006, e ristampato cinque anni dopo. Premiatissima, celebre in patria e molto tradotta all’estero, Yōko Ogawa è considerata una delle più importanti autrici post-moderne contemporanee giapponesi, esponente della corrente letteraria chiamata “black romanticism”, che esprime un punto di vista cupo e pessimista relativamente alla psicologia e ai sentimenti dei personaggi rappresentati. Le opere di Yōko Ogawa sono perlopiù storie narrate in prima persona, situandosi fra il genere realista e quello fantastico, con una sovrabbondanza di elementi concreti su cui si inseriscono dettagli surreali, grotteschi o addirittura soprannaturali. Le trame evitano il sentimentalismo e le situazioni esplicitamente erotiche o sensuali, mettendo in primo piano protagonisti alienati dal contesto storico e sociale in cui vivono. Con uno stile minimalista ma descrittivamente puntuale, propone una narrazione scorrevole e priva di pretenziose artificiosità formali.
Il volume di cui ci occupiamo consta di tre racconti lunghi, il primo e più riuscito dei quali, “La gravidanza di mia sorella”, ha ottenuto il prestigioso premio Akutagawa ed è stato pubblicato sul New Yorker, onore riservato precedentemente solo ad altri due autori nipponici.
La protagonista (senza nome, come quasi tutti i personaggi femminili di Ogawa) è una giovane universitaria, venditrice part-time nei supermercati della città, che vive con la sorella e il cognato odontotecnico novelli sposi. Quando la sorella rimane incinta, i nove mesi della gestazione diventano un incubo per il piccolo nucleo familiare: per la sorella stessa, in preda a ossessioni nevrotiche che la portano dapprima a rifiutare il cibo e poi a ingozzarsi di marmellata di pompelmo ingurgitata a cucchiaiate, conducendola a una pericolosa obesità; per il marito timoroso di contrastare i capricci tirannici della moglie: per la narratrice in prima persona, che annota meticolosamente in un diario settimanale il progredire angoscioso della gravidanza, sino alla sua temuta e imprevista conclusione.
Nel secondo testo, è ancora una giovane donna la figura di spicco della narrazione. Raggiunta al telefono dalla telefonata di un cugino ventenne perso di vista da molti anni, si adopera per trovare al ragazzo una sistemazione nella residenza studentesca da lei stessa frequentata durante l’università. Lo accompagna quindi nel suo ex-collegio per studenti, periferico e architettonicamente fatiscente, presentandolo al preside, un anziano e colto professore, menomato nel fisico perché amputato di entrambe le braccia e di una gamba. Nelle settimane che seguono all’iscrizione del cugino al convitto, la protagonista non riuscirà tuttavia a mettersi più in contatto con lui, venendo invece trattenuta a lungo nell’ufficio di presidenza. Scopre così che sulla residenza universitaria si sono addensate ombre di sospetto per l’improvvisa e inspiegabile scomparsa di uno degli studenti, motivo dell’allontanamento di tutti gli altri frequentanti. Il racconto rimane sospeso in un’atmosfera di dubbio e sconcerto, che la figura misteriosa e infelice del professore, ormai moribondo e impossibilitato a rivelare alcun segreto, contribuisce a rendere più inquietante.
Il terzo racconto, che dà il titolo alla raccolta, vede ancora come voce narrante una adolescente, segnata dai turbamenti e dalle ansie tipiche dell’età. Figlia del rigido direttore di un orfanatrofio buddhista, la ragazzina vive con fastidio e rancore l’atmosfera opprimente della Casa della luce, nutrendo il rapporto con gli infelici ospiti in essa accolti di sfumature morbose, che vanno dall’amore non corrisposto per un ragazzo fisicamente e caratterialmente eccezionale, al disgusto espresso in dispetti, ritorsioni e sadico disinteresse verso i più piccoli e fragili di lei.
Tre protagoniste di tre racconti raccontate con sensibilità e penetrante intuizione da una scrittrice donna. Se dovessi definire con due aggettivi la scrittura di Yoko Ogawa, così come si manifesta nel volume preso in esame, non avrei nessuna incertezza nell’utilizzare questi termini: delicata nella forma, implacabile nel contenuto.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net «SoloLibri», 26 ottobre 2023