PAOLO VOLPONI, POESIE – EINAUDI, TORINO 2024, p. 481
Einaudi pubblica l’intero corpus poetico di Paolo Volponi a cura di Emanuele Zinato, professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Padova, con una densa introduzione (L’eroismo della volpe), una bibliografia ragionata, una puntuale nota biografica, e una nota finale di Giovanni Raboni. Il volume, già uscito nel 2001 con il titolo Poesie 1946-1994, presenta due importanti novità, oltre alla segnalazione dei contributi critici dell’ultimo ventennio: la pubblicazione integrale della prima raccolta di versi dello scrittore urbinate, Il Ramarro, e l’inclusione di nove testi inediti.
Paolo Volponi deve la sua fama in particolare alla produzione narrativa (otto romanzi dal 1962 al 1991, vincitori di due Premi Strega), che però è sempre stata accompagnata dalla scrittura in versi, scandita in sei libri dal 1948 al 1990.
Nella prima opera, Il ramarro – composto da quaranta frammenti pubblicati in una plaquette di 120 esemplari, con introduzione di Carlo Bo –, era prevalente la misura breve, il dettato semplice, l’assenza di rime, l’eredità dei lirici greci filtrata dagli echi dell’ermetismo italiano e dalla lirica contemporanea spagnola. Temi prevalenti erano l’eros e il corpo, descritti con sentimenti ambivalenti tra attrazione e repulsione (“Mi fa schifo / tenerti in bocca”), e l’attenzione per l’ambiente animale e vegetale, vibrante di acuta recettività sensoriale (“Io sento / il rumore dell’ossatura delle cose”).
La seconda raccolta del 1955, L’antica moneta, vincitrice del Premio Carducci ex aequo con Pasolini, manteneva l’interesse per le stesse tematiche, arricchite da una maggiore considerazione verso paesaggi differenti, come quelli romani e meridionali, che il poeta aveva imparato a conoscere dopo aver lasciato Urbino ed essere stato assunto da Adriano Olivetti, con l’incarico di effettuare una serie di inchieste nell’Italia del sud. Emergono inoltre spunti di esplorazione autoanalitica in costante riferimento alla vastità dello spazio siderale, oscillanti tra rigore logico e rapimento inebriato: “È una notte / facile ed inconsueta, così luminosa / che una cometa s’indovina / dietro l’orizzonte. / Tu sei di vetro, / io vedo le mie mani / dietro la tua nuca”.
Le porte dell’Appennino (1960), premiata al Viareggio, accentuava invece una disposizione di stampo sociale e antropologico – probabilmente incoraggiata dalla frequentazione dell’autore con gli impegnati redattori della rivista “Officina” –, indirizzando i contenuti in senso epico e narrativo, e la struttura formale nella direzione del poemetto. Qui Volponi valutava soluzioni destinate a essere recuperate nella composizione dei romanzi più noti. Ad esempio gli elementi biografici e familiari (“Quando io sono nato / mio padre non c’era”), collocati in uno scenario storico-collettivo, e addirittura cosmico, nella volontà di distanziarsi dal privato per assumere valenze universali. Non solamente l’ambiente domestico viene descritto con la tecnica del racconto e del saggio in versi, ma anche il persistente dissidio tra l’attaccamento ai luoghi originari e il desiderio di allontanarsene, inserito nella condizione più generale dell’abbandono delle campagne e dell’inurbamento, tipica degli anni ’60: “l’immagine di Urbino / che io non posso fuggire, / la sua crudele festa, / quieta tra le mie ire. // Questo dovrei lasciare / se io avessi l’ardire”.
Passeranno quattordici anni, durante i quali andava consolidandosi la fama del Volponi romanziere, prima della pubblicazione di Foglia mortale (1974), contenente cinque componimenti scritti tra il ’62 e il ’66, stilisticamente connotati non solo da un recupero di tonalità leopardiane, ma soprattutto da un’intenzionalità pedagogica, con l’invenzione di un destinatario adolescente, fortemente autobiografico (il “por bordel”), da avvicinare mediante l’uso di termini dialettali, fiabeschi e cantilenanti: “Tu te rovini, tu te rovini, bordel, tu te rovini / se non scarpini”, “Burdel, né orto né porto, / niente ti potrà salvare / se tu non rompi il sigillo / che imprime la tua pena”.
Nel 1980 Einaudi riproponeva tutto il corpus poetico volponiano in un unico volume, Poesie e poemetti 1946-1966, con postfazione di Gualtiero De Santi, riguardo a cui diversi critici espressero giudizi concordi nel sottolineare le varie stratificazioni linguistiche e formali, dal timbro elegiaco a quello prosastico, insieme al motivo esistenziale dell’esilio dalle radici natali, fecondante tutta la produzione narrativa posteriore.
Con testo a fronte, quinto volume di poesia fortemente caratterizzato teoricamente, apparve nel 1986, e fu subito accolto dai pareri favorevoli di Bo, Ramat, Santato, Papini, De Santi, Raboni, Asor Rosa, Fortini, che ne evidenziarono il lirismo visionario animato da robusti accenti corali e arcaici, leggibile sia attraverso categorie psicologiche e introspettive, sia ancora utilizzando la motivazione sociologica del contrasto tra mondo rurale (con la presenza insistita di figure ornitologiche) e mondo aziendale-cittadino: “aquila è nel linguaggio industriale / l’imprenditore il presidente il capo”.
Infine, la svolta rappresentata dall’ultimo libro di versi Nel silenzio campale (1990) consisteva nel prevalere dell’allegorismo e della tematica politica, con l’impiego martellante della rima utilizzata in maniera talvolta parodistica, a segnare l’approdo coerente della ricerca letteraria ed etica dell’autore, in un generoso lascito intellettuale: “Se qualcosa di me ancora vale / debbono tale cosa prenderla gli altri, / impiegarla e trarne profitto presente e reale”.
Nel centenario della nascita di Paolo Volponi, questo corposo volume einaudiano rende omaggio a un poeta che ha saputo traghettare in un’esemplare e celebrata narrativa le sue “inquietudini da selvatico” e da “devoto dirigente”, esprimendo il dramma antropologico novecentesco dell’alienazione produttivistica e dell’urbanizzazione, attuata a discapito dell’ambiente naturale.
© Riproduzione riservata «L’Indice dei Libri del Mese» n. VI, giugno 2024