Carlo Rovelli e la poesia

Fisico e saggista (Verona 1956), dopo essersi laureato in fisica presso l’Università di Bologna, Carlo Rovelli ha svolto il dottorato all’Università di Padova. Ha lavorato nelle Università di Roma e di Pittsburgh, e attualmente è ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille. I suoi studi vertono soprattutto sulla gravità quantistica. Si è anche occupato di storia e filosofia della scienza con il libro Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (2011). Tra le sue altre opere: Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio? (2010), Sette brevi lezioni di Fisica (2014, tradotto in 41 lingue, con una diffusione di oltre un milione di copie), L’ordine del tempo (2017, da cui la regista L. Cavani nel 2023 ha tratto l’omonimo film), Helgoland (2020), Relatività generale (2021) e Buchi bianchi (2023).
Collabora regolarmente con il Corriere della Sera, in particolare con il supplemento La Lettura. I suoi articoli sono apparsi sul supplemento culturale de Il Sole 24 Ore, e saltuariamente su la Repubblica, sul Guardian e sul Financial Times.

Professor Rovelli, ricorda quando è stato il suo primo approccio a un testo poetico, e quale è stata la prima poesia che ha imparato a memoria?

Forse la prima poesia che ho imparato a memoria è stata La Madre di Ungaretti. Penso sempre che sia stata una grande ricchezza aver imparato versi a memoria da ragazzo.

Le capita tuttora di leggere raccolte di versi, e preferisce gli autori classici o i contemporanei, gli italiani o gli stranieri?

Si, mi capita di leggere poesie. Preferisco i grandi classici. Amo molto Orazio per esempio. Ma leggo anche di tanto in tanto poesie contemporanee…

Sono noti il suo impegno politico, e l’adesione convinta al movimento pacifista. Tra i libri di poesia predilige quelli che danno voce a istanze civili, e in particolare di quali autori?

Trova che esista una corrispondenza tra l’intuizione artistica di chi scrive poesia e l’intuizione scientifica di chi ricerca lo svelamento di un mistero nella materia? In entrambi i campi non sono forse necessarie notevoli doti creative?

Penso che ci sia una vicinanza profonda fra la scienza migliore e la migliore poesia, perché entrambe sono modi per aprire uno sguardo nuovo sul mondo, per farci vedere qualcosa che prima non vedevamo, o vedevamo solo confusamente. Entrambe si aprono mondi.

Ha letto poeti che nella loro produzione si siano ispirati alla scienza? Recentemente Bruno Galluccio (fisico che si è occupato di telecomunicazioni e sistemi spaziali) ha pubblicato tre volumi nella collana bianca di Einaudi…

Esiste una diffidenza nei lettori sia verso il linguaggio poetico sia verso il linguaggio scientifico. Ritiene che tale difficoltà inerisca alla struttura specifica di entrambi i codici espressivi e alla scarsa dimestichezza con i metodi delle due diverse discipline, o a semplice disinteresse?

Penso che serva un apprendistato, un imparare, in entrambi i casi, che spesso non è semplice. Come tutte le cose che nella vita valgono la pena, serve fatica per arrivarci.

Si, molto spesso. Soprattutto i Canti di Leopardi. Ne ho imparati alcuni a memoria da ragazzo e quando sono solo, magari all’aperto, me li ripeto nella mente. E li trovo sempre meravigliosi. Il Passero Solitario per esempio, mi accompagna spesso…

 

© Riproduzione riservata          «Gli Stati Generali», 14 ottobre 2024