SÉLIM NASSIB, L’AMANTE PALESTINESE– E/O, ROMA 2005
Riguardo al romanzo L’amante palestinese di Sélim Nassib, pubblicato in Italia nel 2005 da E/O, Giancarlo De Cataldo si era allora espresso in questi termini entusiastici: “Un canto disperato all’amore folle che travolge le barriere e le differenze, l’amore che, se si potesse vivere sino in fondo, cancellerebbe tutte le guerre”.
L’amore travolgente di cui narra Nassib sarebbe quello, clandestino e osteggiato da tutti, nato tra Golda Mair e Albert Pharaon, lei ebrea lui palestinese, lei militante del movimento sionista e futuro primo ministro di Israele tra il 1969 e il 1974, lui rampollo di una famiglia di banchieri libanesi e proprietario di una scuderia di cavalli da corsa. Entrambi sposati, entrambi genitori di due figli, si incontrano a Gerusalemme nel 1929 e vivono per quattro anni un’intensa relazione affettiva e sessuale, ovviamente stigmatizzata dalle reciproche comunità di appartenenza.
Storia vera, romanzata o del tutto inventata? L’autore afferma di averla conosciuta da sempre, riportata a bassa voce da alcuni suoi amici, parenti stretti di Albert Pharaon. Sélim Nassib, nato e cresciuto a Beirut, è stato inviato nei Territori occupati per conto del quotidiano francese Libération e attualmente vive a Parigi. Ha pubblicato altri quattro romanzi con E/O, di cui gli ultimi due quest’anno: La ribelle di Gaza e Il tumulto.
Il volume di cui parliamo si apre con la descrizione della vita di Golda nel Kibbutz di Merhavia, dopo il trasferimento dagli Stati Uniti con il marito Morris Myerson. Il duro lavoro per bonificare la palude circostante, la mal tollerata promiscuità dell’esistenza collettiva e la severità delle regole imposte, insieme alla claustrofobia dell’esistenza familiare, l’avevano spinta ad assumere impegni politici di rilievo all’interno del nascente partito sionista, e alla frequentazione dei suoi principali esponenti politici: Ben Gurion, Ben Zvi, Katznelson, Levi Eshkol, il fraterno amico David Remez, da cui venne aiutata a evadere verso Tel Aviv, città laica e moderna dove le fu facile trovare un lavoro gratificante, affidando i bambini Menachem e Sarah alla sorella. Parallelamente alle vicende di Golda, Nassib racconta le circostanze biografiche che avevano convinto Albert Pharaon ad allontanarsi dall’ambiente familiare di Beirut (la moglie e i figli poco amati, la futilità dei rapporti sociali nell’alta borghesia libanese, la passione per i cavalli) per trasferirsi ad Haifa, sua città natale, concedendo alla propria inquietudine frequenti valvole di sfogo in ripetuti viaggi in Europa.
Fino a questo punto, la storia narrata risponde a fatti storicamente verificabili, così come la narrazione dei violenti scontri avvenuti in quegli anni tra arabi ed ebrei, e il rancore di entrambi i popoli verso il dominio britannico. Meno assodabile è lo svolgimento e la maturazione del rapporto amoroso tra Golda e Albert, a partire dal loro primo incontro, avvenuto a Gerusalemme durante la festa in onore del compleanno del re Giorgio V, tenutasi alla Government’s House nel giugno del 1929, alla presenza delle personalità più in vista del mondo politico ed economico musulmano ed ebreo.
Golda, accompagnata dal suo amante Zalman Shazar (poeta, storico e futuro presidente di Israele dal 1963 al 1973) partecipa come traduttrice ufficiale per la folta rappresentanza britannica. Viene descritta come decisa e scontrosa, agile pur nella sua robustezza, dai capelli fitti e neri, dallo sguardo indagatorio. Albert, elegante nell’abito di fattura inglese, dai gesti fluidi e dagli occhi tenebrosi, appare come un ibrido tra oriente e occidente, “un miscuglio improbabile di belva e di uccello ferito”. Tra i due scocca, inevitabile, il colpo di fulmine. Si danno appuntamento a casa di lei per la notte successiva, in cui consumano il loro primo focoso amplesso. Faccio fatica a coniugare quest’aspetto disinibito e sensuale della giovane Golda Meir con l’immagine della rigorosa donna di potere – anziana, arcigna, corpulenta, calzante dimessi scarponcini ortopedici -, recuperata dalla memoria dei miei ultimi anni di liceo. Ma Nassib si lascia trascinare in una descrizione che assume i toni eccitati e francamente un po’ ridicoli del feuilleton popolare: “Golda cede, subito, come una diga che si rompe sotto la pressione… I corpi si urtano e si lacerano senza freni… Non hanno abbastanza denti per mordersi, abbastanza braccia per stringersi… Si affrontano con assalti ripetuti, perfino le carezze briciano”. Eccetera.
L’autore in più di un’intervista ha affermato che alla radice dell’esperienza intima del Medio Oriente, c’è “un formidabile desiderio sensuale […] quasi sempre frustrato”. E proprio su questa sensualità del mondo arabo, non solo nella fisicità dei corpi, ma anche negli odori e colori del paesaggio naturale, torna spesso nel corso della narrazione. Che si snoda lungo i quattro anni successivi del tormentato rapporto tra i due innamorati, sempre più coinvolti nei destini incrociati dei loro popoli. Gli scontri intorno al Muro del Pianto avvenuti subito dopo il loro primo incontro li avevano visti fronteggiarsi astiosamente, e l’incomprensione era cresciuta dopo la strage di Hebron con l’uccisione di 67 ebrei, mentre il protettorato britannico continuava a comportarsi in maniera ambigua, appoggiando prima una poi l’altra delle fazioni contrarie.
«“Tu non conosci la società palestinese” mormora Albert. “È povera, per tre quarti analfabeta. Non capisce nulla di quanto le sta succedendo. Le terre vengono comprate e i contadini, trasformati in fantasmi, infestano le strade di Haifa e di altre regioni. Non sanno nemmeno più con chi lamentarsi né con chi prendersela. Per dieci anni i palestinesi si sono fidati dei propri dirigenti, senza rendersi conto che questi ultimi erano impotenti o complici. E quando l’hanno capito, alcuni sono impazziti e hanno risposto selvaggiamente alla violenza inafferrabile che subivano. È orribile. Ma voi siete in questa terra, tra questa gente. Non avete scelta. Siete obbligati a vivere con noi”.
Golda non ha sentito nulla, è cieca. Ma alle ultime parole di Albert trasalisce come per effetto di una scarica elettrica. Ha voglia di ucciderlo. Albert vede che ha voglia di ucciderlo. Lei grida: “Noi? Chi sono questi noi? Noi siamo venuti qui per non dipendere più da nessuno, capisci? Non ci sono altri all’infuori di noi!”»
Gli amori clandestini tra arabi ed ebrei non erano infrequenti in Palestina, ma quello tra Golda e Albert si rivela sempre più impossibile proprio per la crescente influenza di lei all’interno del movimento sionista, che sicuramente non poteva in alcun modo approvare il tradimento di una sua dirigente con il nemico. La rottura, prevedibile ma dolorosa per entrambi, arriva nel 1933: le loro esistenze si divaricano, tra nuove avventure sentimentali e differenti approdi ideologici. La vita di Albert sbiadisce con malinconica rassegnazione, quella di Golda si direziona verso un trionfo politico riconosciuto a livello internazionale, in una terra sempre più dilaniata dall’odio e dalla violenza.
© Riproduzione riservata «Gli Stati Generali», 23 novembre 2024