LA RIVALE

Se sorridesse, la luna somiglierebbe a te.
Tu fai lo stesso effetto:
Di un qualcosa di bello ma che annichilisce.
Tutti e due siete dei grandi scroccatori.
La sua bocca a O si accora sul mondo; la tua

Non fa una piega, tu pietrifichi ogni cosa.
Guardo, c’è un mausoleo; eccoti qui che picchietti
Il marmo del tavolino, cerchi le sigarette,
Sprezzante come una donna, ma non così nervoso,
E muori dalla voglia di dire impertinenze.

Anche la luna i suoi sudditi umilia,
Ma di giorno è ridicola.
I tuoi malumori, d’altra parte,
Arrivano per posta amorosamente regolari,
Bianchi e vani, espansivi come il gas.

Non c’è un giorno al riparo da notizie di te,
Magari a spasso in Africa, ma pensando a me.

 

LIMITE

La donna ora è perfetta.
Il suo corpo
Morto indossa il sorriso della compiutezza,
L’illusione di una necessità greca
Scorre nei drappeggi della sua toga,
I suoi piedi

Nudi sembrano dire:
Abbiamo camminato tanto, è finita.
I bambini morti si sono rannicchiati,
Ciascuno, bianco serpente,
Presso la sua piccola tazza di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
Di nuovo nel suo corpo come petali

Di una rosa spenta quando il giardino
s’intorpidisce e sanguinano gli odori
dalle dolci profonde gole del fiore notturno.
La luna non ha motivo di essere triste,

guardando dal suo cappuccio d’osso.
È abituata a queste cose.
Le sue macchie nere crepitano e si tendono.

 

Sylvia Plath (1932 -1963)