PAULA IZQUIERDO, LE AMANTI DI PICASSO – CAVALLO DI FERRO, ROMA 2014
Questo libro, uscito in Spagna nel 2003, e ripubblicato in seconda edizione quest’anno dalle edizioni Cavallo di ferro, ha un sottotitolo esplicativo e polemico: Quando il genio diventa crudeltà. E in effetti, leggendo la biografia di Picasso “sub specie amorum”, si rimane impressionati dalle capacità onnivore e feroci, fin quasi a sfiorare il sadismo, delle sue prestazioni sessuali e sentimentali, ripercorse qui dall’autrice con l’intento di offrire spessore al profilo delle donne che lo amarono. «Quale misterioso magnetismo fece sì che tante donne impazzissero per lui, accettassero la sua tirannia, i suoi sbalzi d’umore, il suo disprezzo, compresa la persecuzione, fisica e mentale?», si chiede (e noi con lei) Paula Izquierdo. E quindi le racconta, nei capitoli dedicati alle tredici più rilevanti, sorvolando sulle centinaia di incontri occasionali, nei bordelli o in avventure trasgressive, negli ossessivi tradimenti, nelle ostentate e trionfanti seduzioni, e soffermandosi invece sulle raffigurazioni pittoriche, scomposte, violente, morbose, allusive, spesso vendicative. Uno sguardo magnetico, una personalità travolgente, quella di Pablo Picasso: ma anche frequentemente travolta e sconvolta dalle presenze femminili della sua vita, se è vero che «ogni donna che conobbe lo colpì talmente da fargli cambiare lo stile della sua pittura». Ciascuna amante suscitò nel maestro un entusiasmo creativo febbrile, e subito dopo il desiderio compulsivo di distruggere brutalmente il suo sentimento e la persona che l’aveva provocato. «Le donne devono essere passive e sottomesse… le donne sono macchine per soffrire», affermava provocatoriamente. Tre delle sue compagne lo resero padre quattro volte, due lo sposarono, due si uccisero dopo la sua morte: avvenuta a 92 anni, in piena e vivace attività creativa, in un corpo a corpo con la pittura, che per lui fu sempre e fino alla fine metafora del corpo a corpo divorante con il desiderio sessuale.
Le donne di Picasso narrate dalla Izquierdo assumono spesso le sembianze di menadi ossessionate, pronte sia ad immolarsi che ad immolare: ma almeno due di loro non si riducono al ruolo di amanti. La madre Maria, che lo ebbe nel 1881 a Malaga da un pittore di scarso talento, José Ruiz, di cui Pablo disconobbe persino il nome, preferendogli quello materno; e la sua mentore-protettrice Gertrude Stein, che lo aiutò economicamente e lo introdusse negli ambienti culturali e artistici parigini. Il primo amore fu Fernande Olivier, con cui divise la dimora del Bateau-Lavoir, una vita bohèmienne, l’abitudine all’oppio e una reciproca estrema gelosia. A lei seguì la giovane Eva Gouel (“ma jolie”, come la chiamava il pittore), morta precocemente di cancro. Quindi una girandola di artiste, cabarettiste, prostitute, fino alla sofisticata ballerina russa Olga Koklova, che sposò nel 1918 e che gli diede il primo figlio Paul. Si separarono nel 1935, dopo una convivenza tormentata da litigi ed eccessi, quando Picasso conobbe l’ingenua Marie Thérèse Walter, ancora minorenne, di cui fece una sorta di schiava sessuale, iniziandola a pratiche sadomasochistiche. Marie Thérèse partorì la secondogenita di Picasso, Maya; a loro il pittore rimase comunque teneramente affezionato anche dopo averle abbandonate, al punto che ricorreva alla compagna persino per farsi tagliare capelli e unghie, obbligandola a conservare questi suoi preziosi reperti fisici poiché temeva superstiziosamente che qualcuno potesse con essi fargli una fattura. Quindi fu il turno di Dora Maar, forse l’unica presenza femminile intellettualmente all’altezza del maestro, fotografa che testimoniò le varie fasi della creazione di Guernica. Successivamente arrivò Françoise Gilot, madre di Claude e Paloma, di quarant’anni più giovane: fu l’unica donna che lo lasciò, nel 1954, stanca dei suoi continui tradimenti. Dopo una lunga parentesi di vita in comune con la studentessa Geneviève Laporte («Con lei, tutto è dolcezza e miele. E’ come un alveare senza api»), Picasso conobbe la sua seconda moglie, a 72 anni (lei ne aveva 27): Jacqueline Roque, con cui visse l’ultima parte della sua vita, forse la più serena, e per cui dipinse quasi duecento ritratti. Anche Jacqueline, come già aveva fatto Marie Thérèse, si uccise dopo la morte del «suo monsignore».
«Leggendaria» n.106, luglio 2014