ANNA ELISA DE GREGORIO, DOPO TANTO ESILIO – RAFFAELLI, RIMINI 2012

Con questo titolo suggestivo (come non ricordare la candida supplica del  Salve Regina, che impetra consolazione dopo le sofferenze «della nostra malandata vita»?), Anna Elisa De Gregorio pubblica un elegante volume di versi, scandito in tre sezioni composte da un centinaio di poesie, tutte individuate da un titolo, spesso allusivo, a volte esplicativo, sempre acutamente incalzante.
Nella sua appassionata introduzione, Davide Rondoni parla, a proposito di questi versi, di «finissima auscultazione» e di «poesia obbediente… poesia udienza». Da subito infatti balza agli occhi del lettore questa disponibilità attenta e umile, partecipe ed empatica dell’autrice all’osservazione della vita in tutti i suoi aspetti: dalla descrizione vigile della natura, alla condivisione solidale con la sofferenza di chi vive ai margini della società, alla meditazione più filosofica sul senso dell’esistenza (il «paradosso dell’eternità»). La sensibilità della poetessa è orientata soprattutto verso la rappresentazione di due età particolari degli esseri umani, due età entrambe estranee al processo produttivo, al calcolo interessato dei vantaggi economici o carrieristici: l’adolescenza e la vecchiaia. Gli anni in cui ci si affaccia alla vita, in cui si è ancora capaci di perdersi dietro a un sogno («Belle le ragazze che canticchiano / al mare con le gambe lucidate / dalla crema, gli occhiali a camuffare / pensieri»), e gli anni ultimi, malinconici, in cui invece cade qualsiasi illusione. E’ il mondo e la quotidianità degli anziani che Anna Elisa De Gregorio esplora con maggiore e percettiva adesione: «Un corpo sperduto nell’alzheimer», «i vecchi vanno a pulire i ricordi dall’inverno», «Educati a non chiedere una cipolla al vicino, / ci riconosciamo dalle piante alla finestra», «Nelle case ingrigite dei soliti / anziani dove la noia è rotta / dalle pale di un ventilatore». La poetessa si commuove nel seguire il pensionato che va alla posta, si fa compagnia con un gatto o un cane, progetta il pranzo in solitudine e «fa il conto di chi non ha incontrato»: oppure il vecchio signore che raccoglie i sassi, o l’ex boxeur che si butta sotto il treno. Compito del poeta è prestare attenzione ai sentimenti, ai gesti, agli oggetti cui gli altri non badano: «nel mio esercizio di osservazione / assegnato come compito a scuola», l’autrice ubbidisce a un imperativo di «necessaria accoglienza» del tutto, a partire dalle cose minime («Nel migliore dei modi possibili / cureremo la ciotola del cane») per arrivare all’impegno culturale più elevato. Quindi, lo studio e il confronto con altre voci poetiche (da Bashō a Mark Strand, da Michele Sovente a Borges alla Szimborska), con l’arte (la Pietà Rondanini), con il cinema (Tarkovskij, Olmi, e Casablanca). Ma anche lo sguardo affettuoso alla sua città di mare («Città di mattina città d’estate»), con i suoi treni, il cimitero, le spiagge, le periferie desolate; o ad altre città (Venezia, Roma), e ad altre sofferte, scandalose, realtà di miseria e immigrazione. La natura, raccontata soprattutto nell’ultima sezione del volume, è assolutamente consolante nel tripudio della sua ricca vegetazione (salici, viburni, olivi, cachi, pini, gelsomini, ciliegi, crisantemi, trifogli, ginestre, violaciocche: «Fiori stretti ai rami, insetti viola / lucidi di pioggia, alberi di Giuda: / ci accompagnano in fila sui viottoli,  / intorno a loro aureole di nebbia»), con la constatazione che la patria di un poeta è sempre l’ovunque del mondo: «E allora l’unica mia terra è ovunque / trovi parole e lingua per dirle, / mio basso continuo e precaria tenda». In questo suo stile piano, narrativo, colloquiale, eppure aperto a diverse sperimentazioni compositive (gli haiku e i tanka manifestano una loro lieve eleganza), Anna Elisa De Gregorio offre al lettore una ricca varietà di temi e atmosfere, consapevole che le parole di un poeta sempre «rimandano luce».

 

«Leggendaria» n. 101, settembre 2013