CHARLES BUKOWSKI, UNA TORRIDA GIORNATA D’AGOSTO – GUANDA, PARMA 2014
«sto usando questa poesia per riempire lo spazio / mentre bevo / il mio ultimo bicchiere di vino //
stasera // è stata una serata soddisfacente: ho visto un / eccellente incontro di pugilato / prima //
messo l’antipulci ai gatti // risposto a due lettere / scritto quattro poesie. / certe notti scrivo dieci
poesie / rispondo a sei lettere»
Quale fosse il rilievo che Charles Bukowski attribuiva alla sua attività poetica risulta evidente dai versi citati: scrivere poesie, o lettere, o i racconti che gli venivano sollecitati – e ben retribuiti – da editori di pornografia, gli richiedeva la stessa concentrazione e dedizione che occuparsi dei suoi amati gatti. Ironizzava molto sul suo essere un «grande scrittore americano», simile a Norman Mailer nei «10 chili in sovrappeso», e invitato a conferenze in giro per il mondo, quando in realtà si riteneva un poeta mediocre, e commentava sarcasticamente la produzione sua e di altri famosi colleghi: «gli stessi poeti che leggono e / rileggono negli stessi posti; sono imbarazzato per / loro e per / me stesso: / pensiamo davvero di forgiare la lingua in modo / più in- / consueto rispetto alle previsioni della borsa o / del tempo? // tutte quelle parole – che scriviamo a profusione – / ancora e ancora – la maggior parte di noi vive vite / ordinarie e senza coraggio – siamo folli a pensare / che i nostri / discorsi siano eccezionali?»
Nessun rispetto per la tradizione letteraria, nemmeno quella classica, che volutamente tendeva a smitizzare: «metto giù Rabelais / e gli strizzo l’occhio. / questo è quello che gli / scrittori si fanno / a vicenda. // al posto suo, mi / prendo una pastiglia di / vitamina C. //… Rabelais / eri un / ragazzo tanto tanto / interessante».
Nello stesso modo sbeffeggiava lo stile tradizionale, con i suoi versi smozzicati, interrotti a metà, volutamente prosastici e ignari di maiuscole, sia all’inizio che all’interno delle poesie, quasi a voler sottolineare un polemicamente divertito understatement. Più interessato all’alcol, alle corse dei cavalli, al sesso, alla banalità della vita quotidiana, ai soldi facili, Bukowski esibiva anche rabbiosamente il suo sostanziale e motivato distacco dal mondo artefatto del sogno americano, e la sua assoluta, solidale preferenza per gli emarginati, gli ubriaconi, le puttane, le camere d’albergo, i bar più squallidi. «Be’, copuli e copuli. / lasci la casa di questa e / vai nella casa di quella e confronti / copriletto / salviette del bagno / televisori / carta igienica / e il contenuto dei / frigoriferi; la mia lunga esistenza è sempre stata / solo questo e niente di / più; non c’era / altro da / fare / se non scopare; Vicini ottusi e impiccioni, lavori sopportati a malapena e per poco tempo, riti-doveri-cerimonie borghesi (Natale, Capodanno, servizio militare, tasse, pulizia corporale, civismo farisaico) da rispettare per quieto vivere:; mi scoccio quando mi fotto con le mie stesse mani;se vuoi spedirmi in un inferno anticipato / costringimi a passare una giornata intera a / Disneyland».
Gli affetti familiari gli suonavano irrimediabilmente retorici e insopportabili (la moglie querula, la suocera che gli rimproverava le parolacce, un padre detestato che gli aveva rovinato l’infanzia): «i piedi di mio padre puzzavano e aveva il sorriso / come un / mucchio di merda di cane. // essere lo stesso sangue di quell’odiato sangue / rendeva le finestre intollerabili, / e la musica e i fiori e gli alberi / brutti. // ma si vive: il suicidio prima dei dieci anni / è raro».
Cosa può salvare dallo sconforto, se nemmeno la scrittura offre più scampo? Forse solo la magia di una «mattina strana», come quella narrata in una lunga poesia che descrive lo spontaneo e immotivato adunarsi di una folla di uomini davanti a un bar: varia e inconcludente umanità che si ritrova solidale intorno al nulla di un mezzogiorno libero da qualsiasi impegno. Oppure la rara e rivelatrice consapevolezza che al puro esistere bisogna comunque e sempre rimanere grati: «trovi una sedia, ti siedi, accendi un sigaro. / di ritorno da un migliaio di guerre / guardi fuori da una porta aperta nella notte. / Sibelius suona alla radio. / nulla è stato distrutto. / soffi fumo nella notte nera, / sfreghi un dito dietro l’orecchio / sinistro. / ehi bello, in questo momento, sei in cima al / mondo».
«nazioneindiana», 15 aprile 2014