LUCA CANALI, LAMPI – PASSIGLI, FIRENZE 2011

Lampi, ha voluto intitolare la sua raccolta di versi il latinista Luca Canali, intellettuale di vastissime letture e molteplici interessi letterari: lampi che squarciano il buio, illuminazioni repentine e abbaglianti come dovrebbero essere le poesie, quando si avvicinano alla perfezione. Il volume si divide in due sezioni: Gente  e  Ich, quasi che la presunzione di dire io in italiano, e quindi di un’autoaffermazione, venga mitigata dalla traduzione tedesca. E infatti il poeta non si mette in primo piano: sotto la sua lente acuta e disincantata stanno persone e oggetti, paesaggi periferici e urbani, animali e vegetazione. Tutti amaramente costretti a un destino di disfacimento, di rassegnata estinzione (farfalle e umili edere, pie donne in processione e prostitute disfatte, città stravolte dal traffico disumano e campagne violentate dal degrado): ogni cosa è soggetta a una dura legge di consunzione («primato / genetico della casualità»). Non si salvano le notti, con cani che latrano infelici; le estati canicolari («Il cielo è senza colore, / un sole svergognato… dardeggia sicario invisibile / su padri in canottiera»); nemmeno il Natale («nulla passa più in fretta / di un giorno simbolo di buone / intenzioni, d’amore, di pace… // in strade mercantili cieche / di buio festivo dove neanche / pisciano i cani»). Tutto è soggetto a una necessità crudele e matrigna, una “ananché” che rende caduca e banale qualsiasi esistenza («Effimera la vita dell’uomo: sortito dall’alvo / materno comincia l’imprevedibile / count-down…per torpida usura / di aorta, blitz di batteri, raffica d’armi da guerra»).
Non si salva la storia quotidiana, fatta di violenza e di abusi («E invece la terra / gira, l’universo si espande, si formano / bande, si stupra, si spara, il suolo / s’intride di sangue, si uccide»), e neanche il sesso riesce ad assumere una sua gioiosa, liberatoria consistenza, ma acquista una sembianza quasi animalesca, volgare: “Li guarda / senza invidia dal bus la serotina / fichina delle 20,15 scialante all’ignoto / pene di turno puntato sul suo / posteriore targato Jesus», «una baldracca inesperta/ dopo il suo orgasmo senza compenso…». I giovani non sono guardati con invidia o clemenza dall’anziano poeta, ma con severa amarezza: «e faccio / largo ai giovani che / non sanno rubare, rapinano / sparano, stuprano, po / vanno tranquilli al mare». Si respira un’aria di risentito sospetto (così il fringuello impallinato dal cacciatore si vendica accecandolo col becco; il passante solitario intravisto dall’ auto in corsa potrebbe abbracciare in lacrime il poeta, oppure piantargli nel cuore un coltello…; il lunedì lavorativo è una routine drogata che salva dalla noia della domenica…). Eppure i momenti di grazia esistono, rari, ma «quasi perfetti», e nascono da un’inattesa e insperata contemplazione di un prato, di bambini che giocano, di cieli infuocati. E nella poesia, provengono da rime improvvise che addolciscono il ritmo serrato delle composizioni, dal constatare inaspettato che la vita non si riduce a impressioni di negatività o puro sconforto. Il varco, la salvezza può presentarsi in un lampo minimo: «rimango / -il mozzicone acceso- ad ascoltare / cadere in terra la cenere / con la stessa dolcezza di queste / carezze alle tenebre, interpunzioni / di quiete fra guerre di giorni / di fuoco».  E il finale che si sogna per la propria esistenza non è un banale consumarsi, ma «un’esplosione / muta, un lampo al magnesio, una sparizione / assoluta tra fumi di effetti / speciali del cine»; o in una terribile e senechiana minaccia ( che ricorda la lettera 70 a Lucilio)  «Mi è stata / però accordata / l’estrema libertà, / sia pure spietata, / fissare del morire / il modo e la data». Ma noi lettori speriamo in nuovi libri e in nuovi versi, in cui Luca Canali incontri magari minuscole presenze o creature pronte a regalargli di nuovo un sorriso: «Su un prato / invece della mondana ho trovato / a riconciliarmi con il creato una graziosa, piccola rana», «Passo / il tempo a mirare / un rospo che si avventura / dal ciglio erboso a / traversare la strada, lo spingo a ritroso / al passare di un’auto, penso / al fluttuare del mare, mi sento / per attimi anch’io / un giullare di dio».
Il volume è introdotto da una sapiente e complice presentazione di Giuliano Ladolfi.

«Incroci»,  n. 26 – gennaio 2013