MARCELLO VENEZIANI, ALLA LUCE DEL MITO – MARSILIO, VENEZIA 2017

«Gloria dell’inutile e specchio di un destino superiore, il mito è la lettura del mondo che permette alla vita di entrare in un disegno più grande fino a elevarsi a impresa eroica e racconto epico. Il mito crea la leggenda e muove la storia». Con queste parole Marcello Veneziani, nel preludio al volume edito da Marsilio Alla luce del mito, introduce il suo omaggio – vero e proprio inno, peana e rullo di tamburi – a quella particolare e sorgiva forma di pensiero e di narrazione che è il mito. Con uno stile spesso aforistico, ricco di sentenze gnomiche, illuminazioni poetiche e metafore liriche, l’autore intende celebrare una struttura teoretica che ha caratterizzato la forma mentis dell’umanità a partire dalle sue origini. Non tanto, quindi, una rassegna dei miti, antichi e contemporanei, che hanno fecondato le letterature mondiali (da quella greca a quella ebraica, dalle celtiche alle asiatiche…), quanto un’approfondita riflessione sulla natura e sull’essenza del mito come fondamento e radice dell’immaginario universale.

Le definizioni che Veneziani offre del mito sono molteplici e originali: magia, saga, parabola, meraviglia, manifestazione divina, visione, esperienza del sublime, metamorfosi, trascendenza, apoteosi dell’indelebile, mimesis, sublimazione, musica, poesia, resurrezione, rinascita… Altrettanto immaginifiche e proverbiali paiono, nella loro perentorietà, altre formulazioni: «Il destino è l’albero della necessità, il mito è la sua fioritura; Entrare nel mito significa uscire dalla mortalità; Nel mito facciamo visita agli dei; Uscire dal mito è vivere spenti». Se «la nostra epoca è contrassegnata da fenomeni di seconda mitologia», falsi miti quali il successo economico, la forma fisica, il sesso ridotto a libido, l’astrologia, l’occultismo, il cinema, la pubblicità, l’ideale di purezza e genuinità (nei rapporti sociali, nell’alimentazione, nell’ambiente), Veneziani è ferocemente critico riguardo ad essi.

«Nella società cieca, priva di visione del mondo, la prospettiva di ciascuno è nella sua feritoia o nel suo campo d’accesso alla rete… Ciascuno ha la sua collezione di figurine… Mille visioni del mondo, private, superficiali e cangianti, a cui votare la solitudine di spettatore… Il mondo sono io, e il selfie lo certifica». In questa desolante prospettiva di solipsismo individualistico, di mancanza d’interesse per la comunità e i suoi bisogni non solo materiali, per la tradizione e per il futuro, l’unica universalità rimasta in ogni latitudine del globo è quella della tecnica, delle merci, della finanza, dei media. Spetta allora forse al mito, alla sua rifondazione e riscoperta, offrire agli esseri umani nuova linfa vitale e sostegno, volontà di tornare alle origini del pensiero.

«Nel mito è la vita ulteriore che esce dalla dimensione soggettiva, temporale e occasionale per entrare nella sfera del destino, dell’origine, della comunità. Nel mito avviene la liberazione dall’ego, l’eutanasia del soggetto». Esso è l’unica immortalità concessa ai mortali, capace di oltrepassare le situazioni presenti, predisponendo alla bellezza e al dono, al sacro e al divino, senza diventare dogmatico, prescrittivo, didascalico come molte fedi religiose o ideologie politiche. L’unica possibilità che abbiamo (e qui la tesi di Marcello Veneziani diventa provocatoriamente interessante) di opporci sia al tecnicismo globalizzato, funzionale alla finanza e al capitalismo disumanizzante, sia a una filosofia ormai esangue, svuotata di valori e significati, dominata dallo scientismo e dal pragmatismo, è il recupero di un orizzonte spirituale e universale, sovratemporale e simbolico. «Alla filosofia resta il tragico ruolo di abitare l’intervallo tra la notte mistica e il neon della tecnica, tra gli dei e gli algoritmi».

Il riferimento esplicito da cui traggono spunto queste tesi è ovviamente il pensiero idealistico, mistico, trascendentale da Platone a Jung, attraverso i più noti studiosi del mito e del sacro, dell’illuminazione artistica e del sacrificio eroico: Otto, Eliade, Kerenij, Malinowski, Frazer, Kerény, Levi Strauss, riletti insieme a Borges e Jünger, a Tolkien e Eliot, a Hillman e Girard, a Evola e Sorel, a Bachelard e Zambrano; in compagnia dei nostri Giorgio Colli, Roberto Calasso, Cristina Campo, Andrea Emo, Furio Jesi, Elémire Zolla. Stranamente non vengono citati, nemmeno in bibliografia, altri grandissimi contemporanei, Emanuele Severino, Pierre Hadot e Jean Pierre Vernant, studiosi dell’Essere e del Tempo, del pensiero classico in antitesi alla contemporaneità. Il messaggio di Veneziani rimane comunque scolpito nella sua evidenza: «La civiltà avrà un futuro se riprenderà a mitificare, ossia a generare simboli, riti e racconti e a proiettarli nell’avvenire. Viceversa la decadenza si farà estinzione. Non c’è aspettativa di vita senza proiezione, senza trascendere il momento in corso».

 

© Riproduzione riservata      www.sololibri.net/Alla-luce-del-mito-Veneziani.html    15 febbraio 2017