ANDREA DE ALBERTI, DALL’INTERNO DELLA SPECIE – EINAUDI, TORINO 2017

Andrea De Alberti (Pavia 1974) ha pubblicato tre libri di versi prima di approdare alla collana bianca di Einaudi, ma è sostanzialmente un nome nuovo per il pubblico della poesia italiana. Lavora in un ristorante della sua città, e probabilmente questo raffrontarsi quotidiano con un mondo che non sia esclusivamente quello letterario e culturale lo ha aiutato in una ricerca formale e contenutistica più originale rispetto alla performance poetica attuale. Già il titolo della raccolta contiene due sostantivi-spie che ci invitano a tracciare un percorso interpretativo del testo: “interno” e “specie”. Infatti, la novità di questa scrittura (che forse mostra qualche debito nei confronti di una produzione più europea che italiana: Grünbein, tanto per azzardare un nome) consiste nel sapere coniugare un mondo affettivo privato al ciclo antropologico dell’evoluzione umana, riuscendo ad assorbire nell’universalità sovrapersonale di questo la particolarità intima di quello.

C’è quindi un padre («dove noi non capivamo tu ad occhi chiusi / come sempre ti orientavi»), una moglie, un figlio e un’infanzia («Non ti hanno mai comprato il motorino / perché facevi i compiti sdraiato per terra»). Ci sono versi che suggeriscono anche un severo autoritratto («Dentro ho una roggia prosciugata; Rimango quel poco iniettato in me stesso, / sfinito processo di una strana evoluzione»). Si citano nomi che appartengono alla cultura e all’immaginario collettivo (Jessica Lange, Salinger, Edgar Morin, Marvel, Ikea). Ma tutto questo viene in qualche modo risucchiato, minimizzato, ridotto quasi a una crudele insignificanza rispetto al trascorrere indifferente del tempo, scandito non più in ore e giorni, ma in secoli, millenni, ere. Messo di fronte allo schermo cosmico (descritto con esatta e asettica terminologia scientifica) l’io privato resta confusamente aggrappato a una sua personale e angosciante Grundfrage: «Alla fine come potremo definirci? / Esseri o prodotti di esistenze / a un minuto dall’abisso? / Qualcosa ci sostiene. / Non so se è il nostro scheletro comune, / o un’idea di essere all’interno di ogni specie»). Dai mammut agli oranghi, da Lucy alle recenti scoperte paleoantropologiche di Malapa, dai flussi migratori alla cementificazione edilizia, dalle volgarità mediatiche alle catastrofi naturali e belliche: ogni esistenza umana, animale e vegetale si ricompone nella poesia di Andrea De Alberti in un catalogo solidale e indulgente di immagini sovrapposte, in una vertigine di stupori e paure che accomunano nell’innocenza e nella colpa ogni specie, qualsiasi corpo di neonato con qualsiasi fossile, tutte le storie pubbliche e private che fluttuano sospese tra terra e cielo.

Le nostre vite non hanno quindi niente di speciale rispetto a quelle di qualsiasi essere vivente, e tuttavia rimangono assolutamente speciali e preziose: basta esserne consapevoli, rispettando “la pagina bianca” che ci è riservata dalla natura, evitando sopraffazioni ed esibizioni, proteggendo le nostre abitazioni, i nostri pensieri, i nostri cari (“Non lasciate i figli a casa” mi sembra la poesia più intensa e commovente del libro). Senza retorica o didascalismo, l’autore ci riporta all’interno della specie in versi pacati, lineari, onestamente concreti.

 

«Poesia» n. 325, aprile 2017