ALBERTO SAVINIO, TUTTA LA VITA – ADELPHI, MILANO 2011
Di questo volume pubblicato nel 1946, Giorgio Vecchietti scrisse che si trattava di un libro “al tritolo”, intendendo probabilmente che al di là del timbro svagato e dell’ironia lieve che caratterizza tutti e tredici i racconti, e li può far percepire dal lettore come un innocuo divertissement letterario, si cela una pungente intenzione dissacratoria e la serissima volontà di scardinare il fariseismo della morale borghese contemporanea. Nella prefazione, quasi a voler giustificare i contenuti e le forme delle novelle, poco obbedienti ai dettami del neorealismo allora imperante, Alberto Savinio scriveva: «Il surrealismo, come molti miei scritti e molte mie pitture stanno a testimoniare, non si contenta di rappresentare l’informe e di esprimere l’incosciente, ma vuole dare forma all’informe e coscienza all’incosciente. Mi sono spiegato? Nel surrealismo mio si cela una volontà formativa e, perché non dirlo? una specie di apostolico fine». Racconti surreali, quindi, istrioneschi, magici, di una comicità quasi stizzita: e sempre adombranti un umanissimo sberleffo, un tacito rimprovero, un richiamo anche severo a un’eticità e a un’onestà non di facciata. Gli oggetti parlano, in questo libro, rivelano tradimenti, bugie, fissazioni; e si muovono, partoriscono, si trasformano. Sono la cattiva coscienza dei loro proprietari: sempre più sinceri di loro, e stanchi della loro ipocrisia, della loro falsità. Il giudizio dell’autore trapela a volte esplicito («Che strana cosa la famiglia! Che casuale riunione di estranei!»), ma più spesso si insinua vendicativo e sarcastico, per esempio, nella scelta dei nomi dei protagonisti: un Candido Bove commendatore cornuto, un Dazio che paga pegno all’infelicità, un Eonio che non può invecchiare, un Leone codardo, una rigida fidanzata Chiappadoro, un’attempata vergine dal vaporoso nomignolo Fufù… E su ogni cosa e su ogni persona il sorriso amaro e insieme indulgente di Savinio.
IBS, 4 febbraio 2013