HAROLD BLOOM, L’ARTE DI LEGGERE LA POESIA – RIZZOLI, MILANO 2010

Questo volume pubblicato dal grande critico americano nel 2004, e tradotto da noi nel 2010, è stato molto probabilmente pensato e scritto per un pubblico anglofono, ma risulta assolutamente interessante anche per i lettori italiani, in particolare per le definizioni che l’autore dà della poesia. “La poesia è essenzialmente linguaggio figurato, condensato in modo tale che la sua forma sia espressiva e al contempo evocativa”; “La forza poetica potrebbe essere definita fusione di pensiero e ricordo talmente inestricabile da non permettere al lettore di separare i due processi…Il pensiero letterario si basa dunque sulla memoria letteraria, e il dramma del riconoscimento prevede, in ogni scrittore, un momento di confronto con una versione anteriore del proprio io o di un altro autore”; “L’arte di leggere una poesia inizia dalla comprensione dell’allusività”; “La grande poesia possiede un’inevitabilità di enunciazione”… Incuriosisce poi l’esplicita e perentoria affermazione di gusti letterari che Harold Bloom condivide con il suo pubblico: dalla scontata passione giovanile per Chaucer e Shakespeare (attraverso Spenser e Milton, fino a tutti i tardo-romantici), al rispetto più tardivo per la scrittura “arguta e ironica”, culminata nella produzione di Eliot e Auden. La sua antipatia per la poesia di Poe è manifesta e dichiarata (“è vittimista e metricamente maldestro…i suoi versi sono scontati, meccanici e ripetitivi”); altrettanto evidente l’ammirazione per Emerson, Whitman (“il migliore tra tutti i poeti statunitensi”), Wallace Stevens e per Hart Crane, di cui commenta sapientemente e con entusiasmo i versi di “Viaggi II”. Se la poesia deve mantenere una sorta di “stranezza” di significato, che la preservi dalla ripetitività, da tutto ciò che è scontato e banale, il suo senso ultimo risiede comunque nella capacità di produrre un cambiamento nella coscienza di chi la legge: “La missione della grande poesia è dunque aiutarci a diventare liberi artefici di noi stessi”.

IBS, 29 luglio 2013