LAURA LIBERALE, BALLABILE TERREO– D’IF, NAPOLI 2011
Scrivere di malattia e di morte, soprattutto in poesia, significa correre il rischio di imbattersi nel patetico o nel retorico, di sforare in toni troppo striduli o forzatamente dimessi, di urtare per un eccesso di esibita sensibilità o esacerbato rancore l’emotività del lettore. E’ un rischio che la poetessa torinese, trapiantata a Padova, Laura Liberale (1969) ha consapevolmente accettato come sfida, ed eluso attraverso consapevoli scelte contenutistiche e formali. La malattia del padre, la sua individuazione e cura da parte di asettici dottori («E’ davvero così certo / di parlare del tumore di mio padre?») viene metabolizzata poeticamente («adenocarcinoma / un settenario, dottore, dunque cantabilissimo»; «il cancro è una cometa / la coda a cui attaccarsi per tornare»), soprattutto attraverso la rivisitazione affettuosa del rapporto con la figura genitoriale («mio Assente, mio Narrante / mio colossale Mito»; ««O luce che fai strada / O fuoco che non bruci più ma guidi»). Il ricordo àncora a un passato che si vorrebbe poter rivivere nelle sue tenerezze («Al luogo delle voci ritrovate / c’arriverò, papà? / La tua, la cara, con il suo corteggio»), o nella foto sullo sfondo marino che li ritrae insieme, ««il padre e la bambina //…col sorriso / identico e leggero», o nell’apparizione estiva nei luoghi dell’infanzia di un vecchio arrotino, e nuovamente nell’appellativo piemontese con cui il padre la chiamava: «garibuia». Alla fine e dolorosamente, il dialogo «lungo trentacinque anni»» si chiude, con le ultime parole di lui : «Non fare quella faccia». E la poetessa commenta, ferita, commossa : ««Nemmeno da morente / vuoi rinunciare al ruolo». Eppure, «Se è con l’imperfetto che dovrò / dirti d’ora in avanti», sarà proprio la poesia a compiere l’arduo miracolo di restituire una presenza, una voce, un accompagnamento non più materiale, ad assicurare una difesa che sia per sempre. «E dunque ancora mi proteggi da me».
«L’Immaginazione» n.271, novembre 2012