GIUSEPPE ZUCCO, IL CUORE È UN CANE SENZA NOME – MINIMUM FAX, ROMA 2017
Capovolgendo la trasformazione del cane di Bulgakov, e senza sfiorare nemmeno lontanamente la satira politica dello scrittore russo, Giuseppe Zucco (1981) ci racconta una storia delicata e fantastica, scritta con proprietà ed eleganza, narrando di un giovane uomo che di guaito in guaito, in uno straziante percorso di fedeltà e di amore non più corrisposto, si trasforma in cane. «Lei lo aveva lasciato, e lui aveva continuato come nulla fosse. La mattina andava a lavorare, la sera tornando a casa comprava il pane, la notte dava due giri di chiave alla porta prima di spegnere le luci. Era tutto sotto controllo, diceva… Ma una mattina, mentre lavava i denti, tirando su la testa davanti allo specchio, scoprì che guaiva».
Il protagonista (senza nome, designato da un generico “lui”, così come gli altri personaggi rimangono nel limbo di classificazioni universali: la bambina, il padre, il ragazzo, e soprattutto “lei”) guaisce perché non riesce a trattenere il dolore della perdita e dell’abbandono: dapprima di nascosto e camuffando il suono disdicevole con altri rumori, poi manifestatamente, con latrati e ululati strazianti. Fino alla sua completa trasmutazione, con una metamorfosi kafkiana, in un quadrupede non di razza, piuttosto ordinario, «muso pronunciato, le orecchie flosce e appuntite, il manto bianco ma pezzato da alcune macchie di un nocciola chiaro, la coda come una virgola per aria». Un cane che si comporta come tutti i canidi del mondo: si azzuffa col branco, ruba il cibo, si accoppia con le randagie che trova per strada, ringhia e morde, si sporca e puzza. Viene adottato e abbandonato, accudito e torturato più volte, prima da una bambina viziatissima, poi da una volubile studentessa, infine da una macabra vegliarda. Nelle presenze femminili che incontra, nelle tre età di uno stesso mito muliebre, il cane (ex-giovane uomo innamorato) riscopre le sembianze allucinanti della donna che lo ha lasciato: le sue labbra stupende, l’incisivo scheggiato, le gambe affusolate, il seno, i fianchi, la voce. Gli episodi del loro incontro e della loro convivenza, la fisicità degli amplessi, i litigi e le incomprensioni si sovrappongono ai tormentosi avvenimenti della sua vita di animale, alle sue umiliazioni e alle sue rabbie: «… il cane pensò a lei. Lei era la sua patria ubiqua. In lei affondavano le sue radici. Non c’era altra ragione oltre lei». Il cuore è un cane senza nome, quindi, in un’allegoria della sofferenza amorosa che può arrivare al delirio e alla scomposizione di sé, al travestimento e alle mortificazioni più scottanti. Cosa rende simili esseri umani e non-umani nel dolore? «Una stessa storia? Una storia finita male? Questo eccesso di amore non più riposto nelle mani della persona amata? Questa incessante proliferazione di cellule ed energie?».
Accomunati non solo dal bene e da sentimenti positivi, ma anche dall’odio, dalla gelosia, dal terrore, dal desiderio di vendetta, persone e animali sono simili, vittime delle stesse passioni. Il cane di Giuseppe Zucco non ha nome, perché forse ha i nomi di tutti, patisce gli spasimi e le gioie di tutti. Nella sua storia, sospesa tra verità e fantasia, tra fiaba e realtà, si cela come unica morale la volontà di riconoscersi vivi, in un passato da recuperare e in un futuro da reinventare.
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12 ottobre 2017
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