GIORGIO AGAMBEN, CHE COS’È REALE? – NERI POZZA, VICENZA 2017
«La sera del 25 marzo 1938, alle 22.30, Ettore Majorana, considerato fra i fisici più dotati della sua generazione, s’imbarcò da Napoli, dove da un anno ricopriva la cattedra di Fisica Teorica, su un piroscafo della società Tirrenia diretto a Palermo». Così si apre il saggio che il filosofo Giorgio Agamben dedica a La scomparsa di Majorana, come recita il sottotitolo del volume Che cos’è reale?, in cui indaga sulla misteriosa sparizione del ricercatore trentunenne, che da quella fatidica serata non venne più ritrovato. Le lettere da lui scritte il giorno della partenza e in quello successivo a un collega e ai familiari sembravano «suggerire per il suo gesto spiegazioni divergenti, come se volesse confondere le tracce, lasciandolo intenzionalmente aperto a interpretazioni contrastanti»: suicidio, partenza per l’estero, reclusione volontaria in un monastero.
Sulle modalità e le motivazioni di questo imprevedibile e incomprensibile dileguarsi nel nulla del giovane scienziato furono compiute molte ricerche (tutte senza esito) dalle forze dell’ordine, da giornalisti, colleghi, parenti e amici. Leonardo Sciascia lavorò a lungo sul caso, pubblicando nel 1975 un pamphlet di successo in cui ipotizzava che Majorana avesse intuito le tragiche conseguenze che sarebbero derivate per l’umanità dalla scissione dell’atomo di uranio, a cui lavorava insieme al suo maestro Enrico Fermi, e avesse voluto sottrarsi «con sgomento, con terrore» alla responsabilità di contribuire a tale scoperta, rifugiandosi in incognito presso un convento certosino. Giorgio Agamben si spinge più in là di Sciascia nell’esplorare l’episodio particolare della scomparsa del fisico siciliano, inserendolo all’interno di considerazioni più generalmente filosofiche che ne oltrepassano la contingenza.
Majorana aveva scritto un articolo, pubblicato postumo nel 1942, in cui affrontava «l’abbandono del determinismo della meccanica classica a favore di una concezione puramente probabilistica della realtà», secondo le rivoluzionarie intuizioni della fisica quantistica, applicabili non solo agli esperimenti scientifici, ma anche ad altri aspetti della vita culturale, quali la statistica sociale e la politica. Probabilismo al posto del determinismo; inconoscibilità, imprevedibilità e manovrabilità del reale in uno scenario teorico inaudito e spaventevole, che postula la sua sospensione, inglobandolo nella sfera del possibile. Il filosofo romano ripercorre in un veloce e sommario excursus la strada che ha condotto il pensiero moderno ad arrendersi di fronte a una realtà non più definibile, casuale, imprevedibile: Planck, Bohr, Born, Heisenberg, Schrödinger portarono alle estreme e paradossali conseguenze la relatività einsteiniana. Il caso e non più la necessità, il caos nel mondo subatomico, un universo dominato dall’azzardo e dalla probabilità, erano già stati presagiti da correnti filosofiche del mondo antico: Agamben le richiama alla memoria del lettore, recuperando la definizione aristotelica di potenza e atto, l’atomismo di Lucrezio e l’analisi del gioco dei dadi di Gerolamo Cardano, e poi Pascal, Bernoulli fino a Poincaré, mettendo in rilievo l’opposizione tenace di una concretissima e donchisciottesca Simone Weil, per constatare quindi che «la possibilità pura si è sostituita alla realtà e ciò che la conoscenza conosce è ora soltanto la conoscenza stessa». A tale conclusione dovette giungere secondo lui Ettore Majorana, scegliendo «di sparire nel nulla e di confondere ogni traccia sperimentalmente rilevabile della sua scomparsa», in modo da produrre così «un evento insieme assolutamente reale e assolutamente improbabile».
Il taglio interpretativo che Giorgio Agamben dà della sparizione del giovane scienziato affonda nel divorante buco nero di «una domanda che aspetta ancora la sua inesigibile e, tuttavia, ineludibile risposta: che cos’è reale?»
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19 ottobre 2017