ANDREA BAJANI, PROMEMORIA – EINAUDI, TORINO 2017
Andrea Bajani (Roma, 1975), pluripremiato scrittore nonché traduttore, giornalista, critico letterario, si cimenta per la prima volta in una pubblicazione poetica con Promemoria, smilzo libriccino uscito nella collana bianca di Einaudi. Lo fa proponendo poesie limitate a pochi versi, da un numero di quattro fino alla dozzina, prosastici o cantilenanti, ironici o angosciati, a scandire il susseguirsi giornaliero delle attività domestiche e lavorative, o l’alternarsi delle emozioni e dei sentimenti: dai più scontati agli imprevedibili. Mansioni quotidiane da espletare, con noia oppure con rigoroso senso del dovere, sorridendo o imprecando, in un minuzioso elenco di verbi all’infinito che aprono la maggior parte delle composizioni: Richiamare, Restituire, Prendere, Imparare, Ricordarsi, Aspettare, Andare, Cercare, Continuare… Esortazioni che l’autore rivolge a se stesso, quasi fossero un incoraggiamento ad affrontare la giornata particolare e l’esistenza in generale senza lasciarsi sopraffare dall’angoscia, dalla distrazione, dall’insofferenza. Nelle piccole incombenze casalinghe: “Cambiare la lampadina alla madonna / con bambino fulminata sulle scale. / Scendere in cantina per verificare / se scatta il numerino al contatore. / Tornare su a controllare se funziona. / Se ancora non si accende bestemmiare”. Nelle questioni sentimentali: “Prendere una pillola ogni sera / per dormire. Trasformare / la disperazione in infelicità. / Scegliere quale preferire. / La dottoressa riceve il giovedì”; “Farsi consegnare da una donna la parola / amore riparata. Non dimenticarla accesa / non guardarla fissa non farla fulminare. / Ogni quattro anni un controllo generale. / Se si rompe ancora contattare un cane”. Negli impegni sociali: “Arrivare ultimi per disperazione. / Dopo la disfatta rifiatare. Vestirsi / bene per andare a ritirare il primo / premio di consolazione: un plotone / d’esecuzione di bolle di sapone”; “Scorrere tutte le foto con le dita. / Lasciare che sfili lenta la parata / di sorrisi a falcata regolare. / Aspettare la banda musicale / salutare majorette e musicisti. / Dimenticare quanto si era tristi”.
Ironia e autoironia, nei versi di Bajani: l’amara constatazione dei fallimenti propri e altrui, la non adesione dei progetti ai risultati, il perpetuo perdere e perdersi nello stillicidio di giorni, incontri, convenevoli e vano affaccendarsi. La maschera da indossare ‒ pena una qualsivoglia condanna o esclusione ‒, trova una sottolineatura stilistica nell’uso reiterato, quasi parodistico della rima, tipico delle filastrocche, degli strambotti, dei canti carnascialeschi. C’è sarcasmo ma c’è anche dolore, non appena si affrontano i ricordi e le figure più care dell’infanzia, nel rimpianto di un’ingenuità tradita, di un’attesa delusa. Per cui se il frequente aculeus finale può sterzare nel sogghigno, onde evitare qualsiasi retorica o commozione, sa anche trattenersi quando valuta intellettualmente l’arcana responsabilità della parola, il suo segreto incanto: “Curare una parola che sta male. / Se zoppica fasciare la zampetta. / Non avere fretta di farla volare. / E nell’attesa darle da mangiare”; “Far figliare le parole, portarle / in giro al momento del calore. / Farle montare per strada / guaire e poi tornare a casa. / Vederle gonfiare giorno dopo / giorno. Aspettare la nidiata”; “Non partire senza lasciare una / sporta di parole per chi resta. / Dire ‘questa è per la mattina / quest’altra invece per la sera’. / Lasciare una sporta a parte / per chi la notte nel buio si dispera”.
© Riproduzione riservata «Il Pickwick», 10 novembre 2017