LARS GUSTAFSSON, POESIE – PASSIGLI, FIRENZE 1997
Dello scrittore svedese Lars Gustafsson (1936-2016) in Italia si conoscono soprattutto i romanzi, quasi tutti pubblicati da Iperborea (Morte di un apicultore e Il pomeriggio di un piastrellista sono i suoi titoli più famosi), ma nel 1997 l’editore fiorentino Passigli ha raccolto in volume una scelta di poesie che evidenziano, come nella più nota produzione in prosa, il suo interesse particolare per la filosofia e la matematica, rivisitate attraverso il filtro dell’ironia o dell’invenzione fantastica. Già nella prefazione, Gustafsson si sbilancia in una dichiarazione di estetica che nel seguito delle pagine viene confermata dalla composizione stessa dei versi: la poesia è una scoperta, un’invenzione, che mantiene intatto il suo valore indipendentemente da come viene recepita dai lettori, i quali possono comprenderla, apprezzarla, fraintenderla, criticarla. Rimane incorruttibile, essendo un prodotto concettuale in qualche modo imparentato con le scienze astratte. Scrivere poesia è un processo mentale, e quando arriva a compimento, a un risultato perfetto, ecco che «è come se una verità venisse alla luce».
Con queste premesse teoriche, è evidente che chi legge non si deve aspettare da Gustafsson alcuna eccedenza sentimentale o emotiva: della sua Svezia, «questo candido e solitario paese», avvertiamo il bianco e il freddo, un’atmosfera incorporea e trasparente colta attraverso uno solo dei cinque sensi: lo sguardo. «Lo sguardo riempie le cose, anche le più grandi e silenti, / di significato, varia umanità. È più scaltro del tempo». L’occhio del poeta osserva, spaziando intorno, uno sfondo naturale molto esteso, quasi privo di confini, su cui si muovono poche figure umane, silenziose, scure. Intorno laghi, boschi, e tanto cielo. Nebbia, brina, neve, ghiaccio, pioggia. L’idea dominante è il non-limite, orizzontale e verticale, nella conquista perseguita con risolutezza, e senza ansia, della libertà. Il volo non è solo quello degli uccelli (gabbiani e allodole), ma anche quello degli aeroplani, dei palloni aerostatici, degli alianti: il poeta guarda dall’alto, si eleva sopra il paesaggio. Lo fa servendosi anche di strumenti solitamente poco utilizzati da chi scrive versi: concetti matematici, di ottica, di mineralogia, di botanica, ed evitando le figure retoriche più abusate (rime, allitterazioni, anacoluti). La sua è una scrittura sobria, prosastica, scientifica: «Alcune poesie non vogliono rimanere, / e bisogna cancellarle parola per parola / finché cancellate ripiombano nelle tenebre. / Vanno e vengono così rapidamente. / Che cosa vogliono? / Osservazioni. Ricognizioni».
Pure, in questo esibito cerebralismo, troviamo pause di composta dolcezza, di attenzione al particolare minuto, trascurato dai più: «Quando l’aria stagna, stagnano anche i laghi / i grandi chiari laghi quieti come l’argento vivo», «Pioggia e colpi di martello / vanno al di sotto degli alberi. Qualcuno costruisce. / Ed io mi immagino un uomo piccolo di statura / con arnesi assai logori, / il quale a causa della pioggia abbia deposto su una pietra / i suoi occhiali dalle stanghette d’acciaio». Nel gesto del falegname povero, con le lenti annebbiate dalla pioggia, e nel battito del martello che rompe il silenzio, ebbene sì, sentiamo che la poesia ci rivela qualcosa, ci illumina.
© Riproduzione riservata www.sololibri.net/Poesie-Lars-Gustafsson.html 4 dicembre 2017