FRANCESCA RIGOTTI, DE SENECTUTE – EINAUDI, TORINO 2018
«La percezione e l’interpretazione della vecchiaia hanno un andamento ondivago e oscillante: talvolta prevale l’immagine negativa, talvolta quella positiva, talvolta esse convivono nello stesso lasso di tempo e di spazio». La filosofa Francesca Rigotti esplora in questo saggio, prendendo in prestito il titolo del famoso dialogo di Cicerone De Senectute, quali e quanti siano dall’antichità gli stereotipi con cui la cultura ha classificato l’età senile. Lo fa ripercorrendo in un rapido excursus storico-concettuale mitologia e letteratura, pregiudizi e ostracismi, tradizioni e comportamenti sedimentati negli usi, nei costumi e nelle ideologie universali riguardo all’invecchiamento. Quindi, se Platone e Cicerone nelle loro opere tramandarono un’idea di anzianità non del tutto negativa, rivalutando la saggezza, il bagaglio di esperienza, l’affrancamento dai desideri fisici e la conseguente maggiore disponibilità verso la meditazione delle persone attempate (riferendosi però quasi esclusivamente al genere maschile), in epoca posteriore la condanna della vecchiaia divenne più esplicita e generalizzata. Tra i contemporanei che ne hanno dato una rappresentazione negativa, Francesca Rigotti segnala Jean Améry, Simone de Beauvoir, Norberto Bobbio, che nelle loro opere hanno sottolineato soprattutto l’incapacità di adeguarsi ai ritmi veloci imposti dalla società tecnologica. Mentre altri intellettuali, quali James Hillman, Oliver Sacks e Marc Augé ne hanno promosso una visione edulcorata e consolatrice (i nonni! affettuosi e sempre disponibili…).
I tratti negativi che caratterizzano la senescenza sono ovviamente l’espulsione dal mercato del lavoro, il decadimento fisico e mentale, la minore elasticità di pensiero, la ridotta attività sessuale, la solitudine, la celebrazione del passato, il conservatorismo. Specialmente oggi, nell’«orgia di giovanilismo» che invade economia, medicina, pubblicità, tempo libero e spettacolo, diventare vecchi è considerato un problema, addirittura una colpa, qualcosa da nascondere: in particolare se si è donna. L’indagine dell’autrice si sofferma con attenzione sulla senescenza femminile, che paga lo scotto di una maledizione antica e superstiziosa, ribadita già dalle Sacre Scritture, e poi dalla mitologia greca, da Orazio, Ovidio, Erasmo da Rotterdam, fino a Montaigne, Schopenhauer e Nietzsche. La donna anziana (ci si congratula di fronte a un bel vecchio, mai davanti a una bella vecchia!) viene dileggiata, descritta come repellente, viziosa, maligna, poco pulita, sciatta: una sorta di strega, insomma, che rimanda all’immagine funerea e crudele della morte. Si salva solo quando viene circoscritta in un ruolo materno e protettivo, se accudisce i nipotini e racconta loro le fiabe: non a caso, dal decadimento fisico (caduta di denti, capelli e peli, secchezza della pelle, indebolimento degli arti, perdita della memoria) si recupera solamente la voce, deputata alla narrazione, al canto, alla parola consolatrice. La ghettizzazione della femmina in età menopausale deriva dall’eccessiva considerazione che si è sempre data alla maternità, unico valore universalmente riconosciuto alle donne: allorché vengono a mancare fecondità e capacità riproduttiva, la condizione sterile diventa sinonimo di indesiderabilità e inutilità sociale e sessuale. «La donna non più mestruata e quindi priva dello spurgo mensile, conserva dentro di sé tutti gli umori e i sentimenti cattivi e diventa naturalmente tossica, amara, maligna».
Persiste poi una sorta di derisione o fastidio, anche se non accentuato come in passato, per la donna agée che rivendichi il suo diritto all’amore e alla sessualità, cosa che invece non si nega al maschio, che mantiene intatte le sue doti procreative e il suo il diritto alla paternità anche in età molto avanzata. Come rifiutare, uomini e donne insieme, i pregiudizi e gli stereotipi culturali che condannano gli anziani a un isolamento mortificante, proprio quando la maggioranza della popolazione mondiale si avvia a un progressivo e inarrestabile invecchiamento? Francesca Rigotti invita a riscoprire la propria creatività e capacità di rapportarsi affettivamente agli altri, a progettare un futuro «basato non sul ricordare, ma sul dimenticare», rifiutando «lagne e piagnistei», inutili malinconie, ricatti ed egoismi parentali e sociali. Come ricordava Seneca «I frutti più gustosi sono quelli più maturi, che vanno fuori stagione; l’ultimo bicchiere quello che dà più gioia…».
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https://www.sololibri.net/De-senectute-Francesca-Rigotti.html 23 febbraio 2018