HILARY PUTNAM, FILOSOFIA EBRAICA. UNA GUIDA DI VITA – CAROCCI, ROMA 2011

Hilary Putnam (19262016), filosofo e matematico statunitense, si è a lungo occupato di filosofia della mente e filosofia del linguaggio, ma negli ultimi vent’anni la sua ricerca ha seguito un disegno più complesso, spaziando dalla metafisica alla scienza e alla religione. In Filosofia ebraica. Una guida di vita, saggio uscito in America nel 2008, Putnam – ebreo di origine, ma sempre definitosi ateo – esplora le tesi dei tre più importanti filosofi ebrei del ‘900 (Franz Rosenzweig, Martin Buber ed Emmanuel Levinas), a cui affianca marginalmente Ludwig Wittgenstein, cristiano da due generazioni, ma di ascendenze ebraiche, perché comunque interessato ad affrontare il tema della religione come insegnamento morale.

Sia nell’introduzione che nella postfazione, l’autore introduce le sue riflessioni partendo dalla propria esperienza, con l’affermazione perentoria che la religione “o è anche una questione personale, o non è nulla”. Il suo avvicinamento alla pratica religiosa, in età matura e dopo una vita agnostica, non è stato determinato da una conversione, ma da un avvenimento occasionale ed estrinseco: la volontà del figlio Samuel di celebrare il bar mitzvah (la cerimonia con cui i bambini ebrei raggiungono la maturità, a 13 anni), coinvolgendo tutto il nucleo familiare nelle funzioni e nelle formule rituali di preparazione. L’abitudine presa allora di ricorrere quotidianamente a mezz’ora di raccoglimento e di preghiera (in un’epoca in cui era di moda tra gli intellettuali americani rivolgersi alla meditazione trascendentale, alla psicanalisi, al training autogeno e ad altre pratiche di autocoscienza per risolvere il proprio disagio esistenziale), fece del celebre filosofo Hilary Putnam un convinto “ateo credente”. Ateo in quanto negatore di qualsiasi vita ultraterrena e della Provvidenza divina, nella storia e nelle vite individuali; credente perché convinto che la pratica costante della meditazione, della preghiera, dei riti e dei testi millenari dell’ebraismo, e dell’adesione ai precetti morali ad essi sottesi, producessero effetti positivi di miglioramento nelle persone e nella società.

Nei pensatori presenti in questo volume, Putnam recuperava appunto un insegnamento spirituale capace di avvicinare l’uomo al suo prossimo e a una verità oltrepassante la pura materialità dell’esistere. Martin Buber insisteva sulla relazione io-Tu nel rapportarsi con il divino, sostenendo che l’uomo non deve teorizzare su Dio, ma “rivolgersi” a lui. Emmanuel Levinas indicava nella disponibilità e nell’apertura all’altro la “fenditura” che sgretola le categorie individuali e mette in comunicazione con il soprannaturale. Franz Rosenzweig suggeriva di affidare sé stessi a un esercizio di filosofia esperiente, trasformatrice, che conducesse al precetto del “retto fare”. Non è tanto, quindi, l’attività speculativa e teorica che può introdurre a Dio, quanto un atteggiamento di “perfezionismo morale” in grado di porre l’individuo in una disposizione di ascolto, di umile accettazione del magistero biblico, di servizio verso l’altro da sé.

 

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https://www.sololibri.net/Filosofia-ebraica-guida-vita-Putnam.html              10 aprile 2018