FRIEDRICH GLAUSER, IL GRAFICO DELLA FEBBRE / IL TE’ DELLE TRE VECCHIE SIGNORE / IL SERGENTE STUDER / KRACK & CO. / IL CINESE / GOURRAMA – SELLERIO, PALERMO 1987-1988
Elvira Sellerio ha già dedicato sette volumi della sua elegante collana La memoria (inconfondibile sia nell’accuratezza grafica suggerita da Leonardo Sciascia – volumetti tascabili, carta non patinata, copertina blu di Prussia con vivaci riproduzioni d’arte moderna -, sia nell’intelligente scelta dei titoli, per lo più stranieri) al narratore svizzero Friedrich Glauser (1896-1938). Glauser, non famosissimo in patria, pressoché del tutto sconosciuto in Italia, continua forse a pagare dopo morto l’atipicità della sua esistenza, l’eccentricità delle sue passioni culturali con un isolamento e una sottovalutazione del tutto immeritati, e certo non giustificati dalla sua produzione letteraria, godibile e leggibilissima. Così scrisse Glauser della sua vita, senz’altro agli antipodi del “typisch schwyeizerisch”:
Nato nel 1896 a Vienna da madre austriaca e padre svizzero. Nonno paterno cercatore d’oro in California (scherzi a parte), nonno materno consigliere di corte (bel miscuglio, no?). Scuola elementare, tre classi del ginnasio a Vienna. Poi tre anni di riformatorio a Glarisegg. Poi tre anni al Collège de Genève. Sbattuto fuori poco prima della maturità, perché aveva scritto un articolo letterario su un volume di poesie di un insegnante. Maturità a Zurigo. Un semestre di chimica. Poi il dadaismo. Mio padre voleva farmi internare e pormi sotto tutela. Fuga a Ginevra. Il resto lo potete leggere in “Morfina”. Internato per un anno a Münsingen (1919). Fuga. Un anno ad Ascona. Arrestato per la morfina. Rispedito indietro. Tre mesi a Burghölzli (controperizia, perché a Ginevra avevano detto che ero schizofrenico). Dal 1921 al 1923 Legione Straniera…
Ribelle, drogato, inquieto, quindi: eppure quasi nulla di questa sofferenza e di questo disadattamento trapela nei suoi romanzi, che in genere vengono classificati come “gialli”, e affiancati – non senza qualche forzatura – ai nomi di Dürrenmatt e Simenon. Con il primo Glauser ha in comune l’ambientazione, il paesaggio, che è inequivocabilmente svizzero, ma più disteso e innocente di quello dürrenmattiano, forse anche perché la Svizzera narrata dal nostro autore è preferibilmente la campagna bernese o jurassiana degli anni intorno al ’30, ancora indenne dalle trasformazioni capitalistiche, ancora tutta fondue e sanatori, cervelats e Jass: pertanto meno percorsa da inquietudini sociali e meno scalfibile da insofferenze politiche. Al Maigret di Simenon, invece, è per più versi assimilabile il protagonista delle storie di Glauser, il sergente Jakob Studer, chiamato benevolmente Köbu, funzionario della polizia bernese, declassato da ispettore a semplice sergente a causa di un suo coinvolgimento in un “affaire” bancario. Quasi sessantenne, robusto ma col volto liscio e magro, baffuto e brizzolato, «non sembrava affatto uno svizzero». La sua realtà familiare e ambientale (la tranquilla e tranquillizzante moglie Hedy, la scialba figliola, il genero gendarme turgoviese un po’ tonto, un nipotino a cui si mostra del tutto indifferente) è una realtà che lo qualifica ben poco. Köbu è, come Maigret, un poliziotto particolare, con una particolarissima idea della Giustizia: dea bendata più della Fortuna, essa non appartiene alle cose di questo mondo, è un mito, un’utopia. Così il colpevole -l’assassino- è spesso più vittima dell’ucciso, è strumento di una malvagità che lo sovrasta e a cui non è riuscito a opporsi: il sergente Studer opera quindi in modo tale da salvare sempre l’esecutore materiale, il maggiore indiziato, il paria del paese, incastrando invece i mandanti, gli insospettabili. Perciò Studer agisce scardinando prassi consolidate, e realizza sogni che un poliziotto più tradizionale non oserebbe nemmeno tenere nel cassetto: sa mandare alla malora i suoi ottusi superiori dei vari uffici cantonali e federali, riesce ad applicare in modo acuto e non convenzionale la sua notevole cultura, e viaggia, entrando persino nella Legione Straniera… Friedrich Glauser ricorda quindi Simenon per l’umanità tutta fisica, carnale della sua creatura, ma è ben più impacciato dell’autore francese nello strutturare le trame dei suoi gialli, più ingenuo nelle trovate, più scoperto nei fini, a volte ansante nella narrazione; ma forse proprio per questa sua minore scaltrezza letteraria si rende più simpatico di Simenon, e rende più simpatico il suo Köbu Studer.
«Agorà» (Svizzera), 28 settembre 1988