ORSO TOSCO, FIGURE AMATE – INTERNO POESIA, LATIANO (BR) 2019
Orso Tosco (Ospedaletti, 1982) ha esordito come romanziere con il volume Aspettando i naufraghi, pubblicato lo scorso anno da Minimum Fax e molto lodato dalla critica: racconto apocalittico e distopico, con sconfinamenti nel fantastico, che invita il lettore a meditare sulla sofferenza e sulla speranza, sulla depressione e sulla salvezza dalla depressione. Ora pubblica presso Interno Poesia il suo primo volume di versi, Figure amate, in cui ancora esplora i territori del dolore dell’anima, nel distacco graduale dal padre molto amato, fino all’addio definitivo. Trenta poesie attraversate, secondo la prefatrice Franca Mancinelli, da una “corrente lirica e visionaria”, in cui “gli aghi e le parole si confondono”: aghi di iniezioni e di flebo, parole che curano e condannano.
Dalla sofferta esperienza biografica vissuta nel 2015, Orso Tosco aveva tratto suggestioni e stimoli già per la sua prova narrativa, qui ripercorsa con il desiderio filiale di recuperare un vissuto, dando testimonianza dell’“amore irrimediabile” verso chi se ne sta andando. Il corpo malato, osservato nella sua materialità più concreta, smembrato negli organi interni solitamente meno menzionati in un testo poetico (bile, intestino, teschio, scroto, ghiandole, prostata), quasi costringendosi a un’osservazione asettica che argini la commozione, viene continuamente correlato all’ambiente ospedaliero in cui è ingabbiato. “Letti di carta”, “piastrelle feroci”, liste di farmaci e strumentazioni mediche (benzodiazepine, morfina, cateteri, pitali, clisteri): i parcheggi di cemento osservabili dalle finestre si oppongono crudelmente al ricordo del mare ligure, profumato di lavanda, in un interscambio spietato tra l’infermità interna e l’impossibile salvezza dell’esterno: “Costruire la forma della morte come fosse un luogo, / una stanza da rivivere”. Dentro e fuori, presente e passato, speranza e rassegnazione si inseguono nell’esplorazione dei lineamenti tormentati del padre, figura cristica con “il palmo delle mani verso l’alto”, occhi gonfi, caviglie fredde, faccia come “un portacenere ruvido”, il corpo “lisca allucinata”.
La descrizione volutamente obiettiva in terza persona cui si obbliga il figlio, cede tuttavia presto il passo all’abbraccio di un colloquio diretto, dapprima rabbioso e incredulo (“Tu sei la melodia dei versamenti / pericardici, delle occlusioni / della progressione dei carcinomi”), e poi sempre più intenerito e affettuoso, e allora il padre adorato è accudito con pietosa dedizione, e poi consolato in un clemente invito all’abbandono del sonno: “Puoi lasciare, adesso, puoi lasciare / se sei stanco, se sei troppo stanco / per il troppo male, puoi lasciare”, “non preoccuparti, lasciati dormire / sotto le carezze, non avere paura, / ne abbiamo così tanta noi, lasciala a noi”. Un rapporto che è stato intenso non può finire, continuerà a riaffiorare nella memoria che è l’unica sopravvivenza possibile: “Tornerà il mare e torneranno / le mie mani di bambino / aggrappate alla tua schiena enorme. / Torneremo giovani… // torneremo / a stringerci / a occhi aperti nel respiro, / immergendoci torneremo / a stringerci, dolcemente”.
Con questi versi che sono una preghiera laica, Orso Tosco restituisce a sé stesso e ai lettori “Figure amate”, strette in una relazione inscindibile e sempre recuperabile, aldilà di qualsiasi fisica interruzione.
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https://www.sololibri.net/Figure-amate-Tosco.html 26 aprile 2019