AAVV, JISEI. POESIE DELL’ADDIO – SE, MILANO 2017

Curata da una delle nostre migliori orientaliste, Ornella Civardi – che scrive anche un’esauriente postfazione – questa antologia pubblicata dall’editrice milanese SE raccoglie più di mille anni di poesia giapponese, così come si è espressa nella forma del Jisei, cioè della brevissima composizione scritta, o dettata ai familiari e agli amici, poco prima di morire. Si tratta di addii, di malinconici commiati dall’esistenza, che nei secoli hanno creato una tradizione letteraria, esprimendo un canone formale scandito in una metrica rigorosa e basato su metafore ripetute.

Troviamo infatti in questi versi l’utilizzo reiterato di immagini tratte da elementi atmosferici, dalla vegetazione o dal paesaggio, a indicare l’inevitabile distacco dalla vita, l’illanguidirsi della vitalità fisica, lo svanire dei ricordi: la rugiada, la nebbia, la neve, il succedersi delle stagioni sono i temi più presenti, sullo sfondo di montagne invernali, di placidi laghi o di mari sconfinati appena mossi dallo sciacquio delle onde; il cielo è terso e luminoso, pronto ad accogliere l’ultimo respiro del poeta accompagnato dal canto degli uccelli (il cuculo, in particolare, messaggero della notte e guida nell’aldilà); la luna, soprattutto se riflessa nell’acqua, illumina il buio con la sua benevola e tiepida luce; gli alberi perdono le foglie e i fiori, indicando il rassegnato trascorrere del tempo e la fugacità della bellezza. L’atmosfera che pervade le composizioni è di tranquilla accettazione del distacco, di rappacificazione col mondo dei viventi, di saggia ammissione dell’annullamento di sé: nessun furore eroico, o vibrata protesta contro il destino, o prometeica esaltazione del proprio passato. La maggior parte degli autori rappresentati sono monaci zen, e ovviamente il buddhismo (arrivato in Giappone dalla Cina nel VI secolo) ha improntato tutta la filosofia che sta alla base del jisei: la consapevolezza della transitorietà delle vicende umane, la certezza del Nulla da cui proveniamo e a cui siamo destinati, la gratitudine verso lo splendore della natura che ci circonda, la cognizione dell’essenza divina presente in tutte le creature.

Di ognuno dei poeti antologizzati, Ornella Civardi offre brevi ragguagli biografici e un puntuale commento formale, teso a inquadrare i versi nel periodo letterario cui appartengono, con le conseguenti eredità o innovazioni formali. Il volume si apre con la struggente lievità delle parole di una poetessa dell’ottavo secolo, Ono no Komachi («Che malinconia / se penso alla fine, / il mio corpo / sopra i prati in rigoglio / sfumare in nebbia sottile…»), e si chiude con i jisei di famosi letterati novecenteschi (Akutagawa Ryūnosuke, Yosano Akiko, Dazai Osamu, Mishima Yukio), a testimonianza di una tradizione compositiva che si è mantenuta nei secoli, esattamente come la cerimonia del tè, il seppuku, il kimono ed altri fenomeni culturali della civiltà nipponica.
L’insegnamento che anche un lettore occidentale (così tenacemente individualista e freneticamente pragmatico) può trarre da queste composizioni è senz’altro l’accettazione della propria finitudine, la convinzione di fare parte di un ciclo armonico di morte e rinascita universale, la consapevolezza umile del suo non essere indispensabile al mondo, il dovere di riconoscenza per quello che di bello ha potuto godere: «Tersi cieli di ghiaccio, / per la via che ho fatto a venire / me ne ritorno», «Nel momento / della fine comandata, / ogni fiore / di questo mondo sia fiore, / ogni uomo sia uomo», «A mani vuote sono venuto, / me ne vado a piedi nudi, / la partenza e l’arrivo confusi / in un unico sogno», «Anche se me ne vado / e lascio la casa sguarnita, / tu, susino mio / nel cortile, saprai da te / quand’è primavera», «Vecchio corpo mio, / gocciola di rugiada / troppo greve alla foglia», «Una frescura, / come l’inabissarsi fulmineo / del gabbiano».

© Riproduzione riservata                «Poesia» n. 329, settembre 2017