VITTORINO ANDREOLI, LETTERA A UN VECCHIO – SOLFERINO, MILANO 2023
Lo scorso anno Papa Francesco ha raccolto nel volume La vita lunga diciotto catechesi dedicate al senso e al valore della vecchiaia, da considerare non tanto un peso quanto “una benedizione per la società”. Anche Enzo Bianchi nel 2018 aveva pubblicato sullo stesso tema La vita e i giorni, seguendo le tracce di una lunga tradizione culturale, che dal De Senectute ciceroniano alle esortazioni di Schopenhauer, mette in luce gli aspetti positivi dell’anzianità.
Nello stesso solco di rivalutazione dell’età avanzata si situa l’ultimo volume dello psichiatra Vittorino Andreoli, Lettera a un vecchio, che utilizza il collaudato espediente letterario della comunicazione epistolare aprendo il testo con un “Carissimo”, e concludendolo con “Un abbraccio commosso”, nella volontà di sottolineare non solo una solidale partecipazione nei riguardi dei suoi coetanei (già dal sottotitolo “Da parte di un vecchio”), ma pure il diritto di affrontare l’argomento con cognizione di causa, dal di dentro, nella condivisione delle stesse ansie, malinconie e speranze di chi si trova a percorrere il viale del tramonto.
In disaccordo con la cruda animosità delle tesi espresse dal filosofo Jean Améry in Rivolta e rassegnazione sull’avvilimento del declino senile, nel prologo Andreoli afferma orgogliosamente e ottimisticamente: “Sono un vecchio, contento di esserlo, e con la speranza di continuare a esserlo ancora per un lungo tempo”, convinto che invecchiare sia di per sé un grande privilegio, rispetto al concludere prematuramente l’esistenza, e che la durata della vita dipenda anche, sebbene non solo, dalla voglia di vivere, dal desiderio di affrontare ogni giornata con positività, dinamismo e apertura al nuovo.
Chi è vissuto a lungo ha avuto l’opportunità di sperimentare una storia personale e collettiva composita, ricca, talvolta problematica e sofferta, comunque piena di avvenimenti, incontri, insegnamenti offerti e ricevuti, da poter rivisitare e ripensare con soddisfazione: “Se non devi correre nelle strade del mondo, va’ in pellegrinaggio sui sentieri tracciati nel tuo passato”. È opportuno recuperare memorie di cui essere fieri, mettendole a disposizione dei più giovani, per arricchirne l’esperienza, piantando alberi per chi verrà, come suggeriva Schopenhauer quando scriveva “il polline raccolto va condensato in miele”.
Andreoli ammette di aver vissuto giovinezza e maturità “di corsa, freneticamente”, ma ora, superata la soglia degli ottant’anni, è grato di poter dedicare più tempo a sé stesso e alla riflessione, senza l’impellente esigenza di produrre risultati in termini di successo intellettuale ed economico, avendo allentato il controllo sul mondo e sulle cose, con “un minore condizionamento dei «doveri» sociali” e con il distacco dall’ossessione del denaro.
Invecchiare è un’arte, e da medico prima ancora che da psichiatra, l’autore offre indicazioni basilari su come avanzare nell’età in maniera sana ed efficace: controllando l’alimentazione, facendo movimento, nutrendo interessi culturali, esercitando la memoria, mantenendo rapporti affettivi e amicali anche transgenerazionali. Se si evita l’imperativo giovanilista di rincorrere, in maniera spesso ridicola, atteggiamenti da teenagers (capelli tinti, lifting, abbigliamento vistoso e seduttivo, ore di palestra sfiancanti, viagra a gogo) si può godere con saggezza e tranquillità di relazioni valorizzanti, di una sessualità più intenerita e meno aggressiva, di relazioni fondate sulla reciproca e gratuita cordialità.
Il pensionamento senz’altro per molte persone rimane un trauma, intensifica il senso di inadeguatezza e abbandono, ma alla deprivazione e depressione ci si deve opporre conservando acceso il desiderio di emozioni e sentimenti vitali. Accettare la propria fragilità fisica, le proprie debolezze caratteriali e intellettive, non indica rassegnazione o sfiducia, ma il riconoscimento della inevitabile trasformazione del proprio esser-ci. Se gli anziani spesso dimenticano nomi, oggetti, azioni compiute nel quotidiano, godono tuttavia dell’importante prerogativa di ricordare e rivalutare il vissuto, a cui danno un significato emotivo più profondo. In loro cambia soprattutto la percezione del tempo, essendosi radicalmente modificato lo spazio del futuro a disposizione rispetto al passato trascorso. Si trascorre più tempo in solitudine, ma questo offre la possibilità di non disperdersi nella nevrosi di rapporti imposti, illusori o poco sinceri, e di approfondire argomenti trascurati, come il rapporto con la fede, la politica, la scienza, le grandi questioni sociali. In tal senso, è utile approfittare il più possibile delle incredibili opportunità fornite da internet, evitando involuzioni del pensiero come l’egoismo, il sospetto, l’irrigidimento e l’indifferenza.
Alla fine della sua indagine, Vittorino Andreoli affronta il problema del rapporto tra la vecchiaia e la morte, avvenimento ineludibile della condizione umana, da accettare indipendentemente da qualsiasi credenza nell’immortalità o nella reincarnazione.
Il problema non è di eliminare la morte, ma di spostarla nel tempo, attivando tutte le risorse residue per continuare a stare nel mondo, con una sensazione di bene-essere, e accettando poi di finire come finisce qualsiasi cosa, lasciando che la vita si perpetui in altri e altro da noi.
© Riproduzione riservata «Gli Stati Generali», 12 gennaio 2023