MARIA ATTANASIO, LO SPLENDORE DEL NIENTE – SELLERIO, PALERMO 2020
Pubblicati singolarmente nell’arco di un ventennio, tra il 1994 e il 2014, questi sette racconti di Maria Attanasio rivedono la luce nel volume edito da Sellerio con il titolo Lo splendore del niente, dove quel “niente” si riferisce al fatto che le protagoniste (tutte donne, vissute nella Sicilia dominata dai Borboni, dagli Asburgo, dai Savoia tra ’700 e ’800) sono figure nate e cresciute ai margini della storia ufficiale, escluse dal linguaggio del potere maschile. Ma “splendide”, vive di un’identità forte e mai rassegnata, protagoniste di una loro storia minima che ha saputo incidere e ribaltare un destino già prefissato, squarciando “l’oscurata genealogia” che le ha prodotte.
Nell’approfondita presentazione l’autrice indica motivazioni e linee-guida che l’hanno condotta alla scrittura dei racconti: “Si nasce per caso in un luogo, che può diventare scelta, destino. E destino di scrittura è stato per me Caltagirone, l’immaginaria Calacte della maggior parte di questi
racconti, le cui storie risalgono dall’anonima verticalità di tempi ed esistenze oscuramente pulsanti
tra le statiche quinte di piazze e conventi, di carruggi e palazzi. Storie soprattutto di donne – ribelli non rassegnate – di cui spesso resta solo un gesto, un dettaglio, impigliato in vecchi libri o nelle scritture di cronisti locali: frammenti dell’immemore genealogia delle madri, che arrivano a me, si insediano in me, fino a quando – con uno spostamento di prospettiva storica, e una forte compenetrazione empatica – non restituisco loro parola e identità”.
Attanasio si è messa in ascolto del “respiro polveroso dei secoli” (secondo la poetica epigrafe di Anna Banti), recuperandone le tracce documentali negli archivi e nell’immaginario di leggende diffuse sul territorio, e tramandate oralmente di generazione in generazione. Storie di donne che hanno saputo coraggiosamente resistere alle discriminazioni, alla violenza e all’ingiustizia.
Il primo racconto, Delle fiamme, dell’amore, narra la vicenda di eroismo e dedizione di Catarina, che durante il terremoto del 1693 (“quel generale sovvertimento della terra, del cielo e di ogni umana costumanza”), appena partorita la primogenita Salvatora, si lancia tra le fiamme di un incendio improvvisamente scoppiato per salvare il marito immobilizzato a letto dopo un incidente, e muore arsa viva mentre la fantasia popolare le attribuisce un ultimo grido d’amore in realtà mai pronunciato: “Senza vossia, non ce n’è mondo!”
Sulle macerie dello stesso tragico terremoto è ambientata la seconda novella, quasi un romanzo breve, Correva l’anno 1698 e nella città avvenne il fatto memorabile, che recupera la drammatica storia di Francisca, “masculu fora e fimmina intra”, ambientata a Calacte, città di vasai, nobili, conventi, querceti e di aggrovigliate migrazioni (arabi, normanni, genovesi, ebrei, francesi, aragonesi, spagnoli), città già falcidiata da carestie, rivolte, epidemie, congiure. Francisca, “un’indefinibile creatura”, dai modi riservati e dall’andatura provocatoria, ondeggiante sui fianchi rotondi camuffati sotto abiti virili, fino alla morte del marito aveva lavorato duramente nei campi, robusta e resistente come un uomo. Rimasta sola, indifferente alle convenzioni e ai pregiudizi sociali, aveva scelto di lavorare come bracciante a giornata, provocando derisione e sconcerto nei compaesani, e scandalo nelle gerarchie ecclesiastiche. Accusata di atteggiamenti lussuriosi, traffici col demonio e stregoneria, processata dall’Inquisizione per aver infranto un millenario codice di rigida divisione di ruoli e sessi, era stata poi assolta e addirittura pubblicamente legittimata nella sua doppia identità, grazie all’inaspettata solidarietà del paese.
Tra gli altri racconti – animati da un descrittivismo elegante e concreto, attento al paesaggio nei suoi colori e nelle varietà della vegetazione, acutamente analitici nell’indagare sacro e profano, superstizione ed empietà di una Sicilia eternamente arcaica – risulta oltremodo intenso quello che dà il titolo al volume, Lo splendore del niente, in cui la giovane Ignazia, ultima nata dopo sei fratelli maschi nella nobile famiglia Perremuto, non risponde alle elevate aspettative della casata. Ai corteggiamenti, al lusso, alla futilità salottiera del suo rango sociale preferisce infatti la riflessione, la preghiera, l’applicazione intellettuale e uno stile di vita sobrio e raccolto, anticipando una sensibilità femminile ribelle ai modelli tradizionali.
Donne diverse dall’usuale, sia della nostra contemporaneità, e tanto più dei secoli in cui ebbero a vivere, costrette in tempi e spazi impreparati a comprenderle, talvolta stupidamente vessatori e persecutori. Figure femminili (una badessa che si ribella al re, un’avvelenatrice seriale, una pittora mistica ed epilettica…) scisse “tra microstoria e grande storia, coazione sociale e bisogno di libertà”, fisicità animalesca e castità oppressa, che grazie a una minima devianza di pensiero o atteggiamento hanno potuto trovare in Maria Attanasio chi ha saputo sottrarle all’oblio del tempo.
© Riproduzione riservata «SoloLibri», 1 luglio 2020
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