MARC AUGE’, UN ETNOLOGO AL BISTROT – RAFFAELLO CORTINA, MILANO 2015
L’etnologo e antropologo Marc Augé (1935) ha voluto rendere omaggio, con questo piccolo volume, a un’istituzione della società e della cultura francese: il bistrot. Cioè a quella particolare “bottega” che si colloca a mezza via tra il circolo operaio e il più raffinato dei caffè cittadini. E lo ha fatto descrivendo con garbo e nostalgia non solo un ambiente fisico, ma soprattutto un’atmosfera, e le abitudini che accompagnano la vita di ogni persona, rendendogliela più affettuosamente piacevole.
Soprattutto nella città d’elezione dell’autore, «i bistrot marcano il paesaggio cittadino. Sono la traccia della fedeltà che Parigi mantiene verso se stessa». E Augé ripercorre quindi tutti i bistrot della sua esistenza, da quelli sfiorati con frettoloso imbarazzo negli anni del liceo, ad altri frequentati durante l’università, quando con pochi amici vagheggiava l’utopia di crearvi un movimento letterario sulle orme dei surrealisti Breton e Aragon, e poi degli esistenzialisti Sartre e de Beauvoir.
Luoghi di ritrovo che hanno fatto da sfondo a musiche, film e romanzi, creando una moda ben presto diffusa in tutto il mondo, e che vedono rispettato e imitato ovunque anche un loro particolare arredamento: il bancone di zinco, «su cui appoggiano i gomiti i clienti abituali… a contatto della cucina, da cui lo separa una paratia e alla quale lo collega uno sportello»; le mensole alle spalle del barista, con le bottiglie allineate davanti a uno specchio; i tavolini vicini ai finestroni che danno sulla strada; il televisore acceso, in alto, con il volume basso per non disturbare le chiacchiere dei clienti; la saletta riservata col biliardo. Noi italiani non ritroviamo forse, in queste descrizioni, i versi malinconici di qualche canzone di Gaber, di Paoli, di Paolo Conte?
Essenziali sono i rapporti umani che si instaurano all’interno del bistrot, con il cameriere gentile e discreto che ogni mattina saluta l’avventore e ne anticipa le ordinazioni sempre uguali, i colleghi incontrati per caso o fedeli compagni di birre, gli sconosciuti con cui scambiare discorsi superficiali sul tempo, lo sport o la politica, i solitari infelici che si attardano la sera perché nessuno li aspetta a casa. Uno spazio, quindi, che si offre all’incontro, allo scambio di reciproco conforto e conoscenza, e che sa misurare il tempo con il suo «respiro quotidiano».
Marc Augé sembra temere che questi affascinanti luoghi di ritrovo siano destinati a scomparire, soppiantati da anonimi fast-food, da pub pretenziosi, da «catene alimentari globalizzate», privando Parigi e tutte le nostre città di un modo di vivere e di relazionarsi con gli altri amichevole e indulgente, ancora a misura d’uomo.