ALBERTA BASAGLIA, LE NUVOLE DI PICASSO – FELTRINELLI, MILANO 2014

«…quel personaggio che mi era capitato come padre, all’epoca, fine anni settanta, era nell’occhio di tutti i cicloni possibili: quello scientifico, quello mediatico, quello politico-legislativo, quello culturale…». Alberta Basaglia, psicologa a Venezia, tratteggia un affettuoso, ammirato, ma anche intelligentemente ironico ritratto di suo padre Franco, psichiatra di fama internazionale, autore nel 1968 del fondamentale saggio  L’istituzione negata, e soprattutto coraggioso iniziatore della rivoluzione scientifica e ideologica che condusse alla chiusura dei manicomi con la legge 180 del 1978, legge che porta il suo nome. Ma Alberta in questo volume scrive principalmente della sua particolarissima infanzia, di se stessa bambina-adolescente-studentessa universitaria, segnata da un doloroso deficit visivo congenito, che dalla nascita l’ha resa “diversa”, accomunata solidalmente nella sofferenza ai pazienti in cura nell’ospedale psichiatrico di Gorizia. «Strana», con la testa piegata sulla spalla per cercare di vederci meglio, con tante baby sitter inglesi che si occupavano di lei e del fratello per ovviare alle assenze e ai fagocitanti impegni di lavoro e di studio dei loro importanti genitori, Franca e Franco Basaglia. Di famiglia veneziana altoborghese, antifascista, anticonformista, il giovane Franco, partigiano («non ha mai smesso di esserlo») imprigionato negli ultimi anni di guerra, conobbe forse proprio in carcere la degradazione umiliante dell’isolamento, facendosi da subito paladino degli ultimi, degli esclusi per eccellenza dalla comunità: i malati di mente. Erano anni di grandi utopie, che sognavano riscatto sociale e liberazione, e «il suo era un lavoro di studioso che intrecciava in modo sacrilego la filosofia alla psichiatria». Con la moglie e molti amici intellettuali, le serate passavano discutendo i lavori di Marcuse, Heidegger, Sartre: progettando silenziose rivoluzioni in medicina e in politica. I due bambini, Enrico e Alberta, venivano educati spartanamente, con vacanze alternative, senza televisione, senza concessioni alle mode, tra molte letture e musica classica. Vivevano a Gorizia nel Palazzo della Provincia, poco accogliente come casa, ma aperto alla frequentazione di ospiti da tutto il mondo, e di matti. Desolina, Carletto, Velio, la puzzolente signora Pierina, malati «ripuliti a festa» nelle domeniche danzanti nel parco dell’ospedale: «Queste diverse presenze erano il mio quotidiano. Questa è stata per me la rivoluzione più normale del mondo… Basta solo riconoscere il diverso da te e non farti fagocitare dall’ansia che costringe a incasellare tutti e tutto in regole e categorie precise che pretendono di dare un ordine tranquillizzante al mondo».

Accettare tutti, era la parola d’ordine della famiglia Basaglia, dando dignità a ciascuno.
E Alberta, con le sue minime disubbidienze infantili (le canzoni di Caterina Caselli, il desiderio di vestiti alla moda, le fughe alla Standa per ascoltare i Beatles o in portineria per sbirciare Carosello, il dipingere nuvole così belle da far invidia a Picasso) assorbe l’atmosfera intellettuale di famiglia, fa sua l’istanza di ribellione contro la violenza e il conformismo, e decide di dedicarsi professionalmente alla cura di chi soffre. Si laurea in psicologia dell’età evolutiva, saccheggiando l’archivio del manicomio di Gorizia, e studiando gli impietosi faldoni che testimoniano le torture inflitte a bambini malati, le diagnosi superficiali e crudeli dei medici, gli inevitabili decessi precoci colpevolmente censurati dalla burocrazia psichiatrica.
Scritto con la collaborazione della giornalista Giulietta Raccanelli, questo libro di agevole e stimolante lettura ci accompagna alla scoperta di una famiglia eccezionale, di idee in costante fermento in anni vivaci, molto lontani dall’apatia e dall’acquiescenza attuali. E soprattutto ci fa conoscere il coraggio e la dolce, simpatica fermezza della sua autrice, la sua fedeltà a un sogno di libertà e uguaglianza.

 

«Leggere Donna» n. 163, 2014