BASHŌ, ELOGIO DELLA QUIETE – SE, MILANO 2023
Con un ricchissimo apparato di note e l’accurata ricostruzione biobibliografica della curatrice Lydia Origlia, l’editrice SE ha ristampato il volume Elogio della quiete di Bashō, pubblicato per la prima volta nel 2001. Composto da otto brevi saggi, perlopiù consistenti in note di viaggio, appunti diaristici o riflessioni morali, il libro offre al lettore sia un autoritratto del monaco buddhista, sia delicate immagini della natura – primaverile o notturna, principalmente – e inviti a un’elevazione spirituale mirata a conquistare la serenità dell’anima, l’eliminazione di ogni inutile inquietudine, il superamento dell’inadeguatezza caratteriale.
Bashō nacque nel 1644, figlio di un samurai di campagna, nella città di Ueno, a circa trenta chilometri dall’antica capitale Kyōto. Trentenne, destinato a diventare anch’egli samurai, si trasferì a Edo, l’odierna Tōkyō, iniziando un’esistenza indigente e ascetica, illuminata dalla filosofia Zen e dedicata alla poesia, descrivendo con sensibilità e grazia anche i più umili aspetti della vita quotidiana, la bellezza del paesaggio e le sue peregrinazioni alla ricerca della verità e della pace interiore. Scrive Lydia Origlia: “il poeta si sente alleviato da ogni ansia e desiderio: non teme di venir derubato poiché nulla possiede, ignora la fretta poiché è libero da ogni impegno, procede a piedi, gusta i cibi più semplici, gode dell’incontro con casuali passanti che, se dotati di una qualche sensibilità d’animo, gli paiono come pepite d’oro in uno stagno”. Muore a cinquant’anni di stenti e fatica, ma attorniato dalla stima di discepoli e poeti e dall’affetto di molti amici.
Pur riconoscendo umilmente la fragilità del proprio carattere, il monaco-poeta sapeva che ogni cosa e persona vive in continua trasformazione, può redimersi e innalzarsi al di sopra di qualsiasi miseria morale e fallimento economico: “Quanto a me, non sono né monaco né laico, sono una sorta di pipistrello, fra il topo e l’uccello”, “I miei sogni non sono né di un santo né di un gentiluomo. Per l’intera giornata disperdo il mio spirito nelle fantasie e così accade nei miei sogni notturni”. Lodava il silenzio, la riservatezza e la solitudine, che conducono alla meditazione e alla quiete del cuore: “Non v’è nulla di più attraente di una vita solitaria: ‘La mia tristezza / in solitudine trasforma, / romito uccello”, “Il piacere di un anziano consiste nel vivere sereno, libero dalla schiavitù di profitti e perdite, dimentico della distinzione tra vecchiaia e giovinezza”.
Consapevole dello scarso ruolo sociale rivestito dalla poesia, tuttavia ne amava il richiamo ed era felice di potersene dichiarare suddito fedele, obbediente all’ispirazione dell’arte più che a qualsiasi lusinga del potere: “Le mie poesie sono simili a un fornello in estate e a un ventaglio in inverno. Contrarie al senso comune e prive di utilità alcuna”. E ai suoi versi demandava soprattutto il compito di veicolare la bellezza, nella descrizione degli ambienti naturali, del cielo e della vegetazione, delle acque e degli animali: “Il chiarore della luna, che pareva essersi offuscata, penetra ora da una breccia del muro, s’infiltra tra le fronde, mentre qua e là si odono i rumori dei crepitacoli per gli uccelli e le grida per allontanare i cervi”, “La montagna è quiete e nutre lo spirito, l’acqua è movimento e mitiga le passioni”, “Il lago somiglia a un liuto ed è pervaso dei fruscii dei pini e della melodia delle onde”, “Apro dunque con tristezza la finestra per mitigare almeno un poco la malinconia del viaggio e contemplo il tenue chiarore della luna dopo il crepuscolo, e il Fiume d’Argento in mezzo al cielo e il vivido bagliore delle stelle”. Contento del poco che possedeva, perennemente grato a ciò che osservava intorno a sé, come di un dono immeritato e gratuito, da omaggiare nei suoi ispirati haiku.
© Riproduzione riservata 19 maggio 2023
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