SERGIO BENVENUTO, SONO UNO SPETTRO MA NON LO SO – MIMESIS, MILANO 2013
“L’uomo dimentica che è un morto che conversa con i morti”: questa frase di Borges è stata scelta da Sergio Benvenuto come epigrafe a un suo interessante libriccino pubblicato da Mimesis, Sono uno spettro ma non lo so, in cui il filosofo e psicanalista napoletano indaga il rapporto che l’umanità ha sempre intrattenuto con il mondo dei trapassati, e con l’idea (attrattiva e repulsiva insieme) di un loro ritorno sulla terra.
Benvenuto nella sua carriera di studioso, saggista e pubblicista si è occupato di psicologia sociale, filosofia del linguaggio, teoria della politica, privilegiando l’analisi dei comportamenti collettivi relativamente alla diffusione di credenze popolari, leggende metropolitane, superstizioni e suggestioni mediatiche.
Partendo dall’analisi di film di successo (La notte dei morti viventi, La chambre verte, Il sesto senso, The Others, Sussurri e grida, Hereafter), di opere teatrali e letterarie (Il giro di vite, Amleto, Macbeth, Don Giovanni, Antigone, Fedone, il teatro Noh giapponese) l’autore del testo indaga sull’effetto perturbante che tali produzioni creano nello spettatore-lettore, intimorito all’idea che i morti possano tornare a vivere per invidia dell’esistenza fisica, pretendendo dai vivi qualche riscatto da una sofferenza, la riparazione di un torto o semplicemente l’attivazione di un ricordo affettuoso.
In genere i defunti riappaiono nei posti in cui è avvenuto il loro decesso, a volte violento, comunque ingiusto: sul luogo dell’incidente, o nelle case in cui hanno sofferto, per vendicarsi o per tormentare i sopravvissuti. In alcune feste paganeggianti, ma sdoganate dalla cultura contemporanea come Halloween, i trapassati ritrovano una loro innocenza e innocuità nel rapporto con il mondo infantile, e si relazionano a noi nello scambio di doni che li disarma da ogni intenzione malvagia.
La tradizione occidentale cristiana ha ostracizzato queste credenze come superstizioni, denunciando qualsiasi pratica spiritica come illecita e peccaminosa, e santificando il culto dei morti con celebrazioni purificatorie, che di fatto li allontanano dai viventi in un oltre-mondo in attesa della loro resurrezione. Il pensiero moderno si confronta con la morte per lo più escludendola dal proprio orizzonte, rifiutandosi di pensare il non pensabile poiché non sperimentabile dall’io nel suo presente attuale e concreto. “Esiste solo la morte dell’altro in quanto questi ci viene a mancare, mai la mia”, che rimane sempre immaginata, proiettata nel futuro, non reale. Di questo paradosso si sono occupati filosofi, scrittori, psicanalisti: Freud, Nietzsche, Heidegger, Sartre, tra i tanti. Eppure la nostra inevitabile fine ci è sempre presente, nonostante tentiamo di rimuoverla. È presente nel nostro modo di elaborare il lutto e di rendere onore agli scomparsi, nell’accanimento terapeutico con cui speriamo di prolungare l’esistenza ai malati terminali, nel desiderio di assicurarci una sopravvivenza o addirittura l’immortalità attraverso i figli o le opere, nella fede illusoria nel sovrannaturale.
Se il pensiero filosofico novecentesco è in generale ateo, nichilista, razionale, bio-centrico, indirizzato all’esaltazione vitalistica della soggettività desiderante individuale, nei comportamenti sociali ci si abbandona invece a credenze, false dottrine, fantasie terrorizzanti. Aspiriamo a recuperare il rapporto con i defunti perché essi rappresentano il prima e il dopo di noi, ciò che non siamo, siamo stati o saremo, ciò che non possediamo più e che ci trascende. I morti simboleggiano “il diverso” per eccellenza, l’alterità a cui demandiamo le nostre paure e le nostre illusioni, proiettando in loro l’angoscia di non riuscire a soddisfare i nostri desideri, quasi fossimo anche noi spettri inconsapevoli e redivivi.
Secondo Sergio Benvenuto, siamo spinti a volere/temere che i sepolti risorgano (magari nelle sembianze di spirito, fantasma, zombie) per esaudire il loro e il nostro desiderio di continuare a esistere nella realtà, partecipando alla vita per poterne godere, senza essere costretti a rinunciare a gioie e gratificazioni che non si è mai rassegnati a perdere.
© Riproduzione riservata «Gli Stati Generali», 2 agosto 2020