ANGELO CASATI, LE PAURE CHE CI ABITANO– ROMENA, AREZZO 2011

Quante e quali sono le paure che abitano i nostri cuori, e ci chiudono al mondo, ci paralizzano, limitandoci nelle nostre espressioni, nei comportamenti, nella stessa adesione al semplice esistere?
Don Angelo Casati ne elenca undici, e a ciascuna di esse dedica riflessioni di «tenerezza e fermezza», come suggerisce la partecipe presentazione di Rosa Siciliano. Sono paure ataviche e accecanti, come quella di vivere o di morire. La prima ci blocca nell’affanno quotidiano, quando ci dimentichiamo che Dio si occupa di noi, ha cura delle nostre giornate ansimanti («il preoccuparsi è segno di stoltezza: puoi forse aggiungere un’ora sola alla tua vita?») Mentre dovremmo «ritornare a incantarci per l’oltre, per il volto che abita le cose e le fa dono… L’incantamento viene da un indugio, da una capacità di sostare… la fretta che ci consuma è parente stretta della voracità…» La seconda paura, che ha le sembianze dell’angoscia heideggeriana, e ha avvinto per poco lo stesso Gesù nel Getsemani, è la paura di morire, di non essere più, di finire con l’ultimo sospiro esalato. Per vincerla dobbiamo lasciare «lungo la strada il pomposo mantello dell’egoismo e indossare quello della compassione… L’amore non sta in una tomba, ha passi di vento…» Le parole delicate e convinte di Don Casati sanno rivestirsi di poesia, e infatti ogni capitolo del suo libro si apre con dei versi, che non hanno nulla della falsa bonomia di cui sono animate spesso le poesie religiose: sono drammatici e scabri, lontani da ogni retorica. Se dunque «neanche la morte, all’apparenza così vincente su tutto e tutti, può cantare vittoria sull’amore, ne esce sconfitta», ecco che ognuno di noi ha un motivo in più per non cedere alle altre paure: dell’inedito, dell’altro, di amare, di essere liberi, di pensare, dell’insicurezza. L’invito pressante dell’autore è a saper osare, innamorandoci della nostra libertà: dobbiamo sconfinare da noi stessi, imparare a essere visionari, superando le barriere delle architetture interne ed esterne ai nostri cuori. È questa libertà che il potere (anche quello ecclesiastico! aggiunge coraggiosamente Don Casati) teme: «meglio avere vassalli obbedienti, accoliti del nulla, esecutori plaudenti, meglio una massa pilotabile e acclamante che un popolo maturo di pensanti e resistenti». Ma il volume affronta e demolisce anche timori meno scontati, come quelli della mitezza e della fragilità, «nella stagione dell’urlo» che viviamo e in cui «incenerire l’altro sembra ormai il sogno estremo». Eppure, il rabbi di Nazaret ( che è entrato a Gerusalemme su un umile asinello, che ha lavato i piedi ai discepoli…) ha promesso che saranno i miti ad ereditare la terra, cosa che spesso dimenticano anche le gerarchie della Chiesa: «Quando una chiesa dimenticò il grembiule e indossò le modalità dell’impero, cancellò dal mondo la notizia buona, divenne ovvietà sulla terra… fino a una sacrilega identificazione con le esibizioni, i riti, le macchinazioni del potere».

Ritrovare coraggio, quindi, e dolcezza consapevole: fidarsi di un Dio che è guida e tenerezza, amare la bellezza come anche la mancanza di bellezza, la luce come le ombre, il volto dell’altro anche quando è deturpato dalla povertà o dall’errore, fare «opera di detronizzazione dentro di sé». E amare con pudore e discrezione, senza invadenza, senza usurpare e travalicare i confini dell’anima altrui : «Anche nell’amore più forte e appassionato, riconosci la distanza». Vincere le paure per vivere più pienamente, più consapevolmente, il nostro mestiere di uomini e donne, con l’umiltà di affidarci a chi ci travalica e ci invita a superare i confini.
Un libro molto intenso, questo di Don Angelo Casati, da meditare e condividere con chi ci è vicino e possibilmente anche con chi è lontano da noi. Senza paura.

 

«Mosaico di pace», settembre 2011