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MAESTRI

FROST

IL MODO IN CUI

Il modo in cui un corvo
Di sopra una cicuta
Scrollò sopra di me
Una neve minuta
Diede al mio cuore un tale
Mutamento d’umore,
Da salvare un mio giorno
Ormai senza valore.

**

LUOGHI DESERTI

Fitte cadere notte e neve, oh, fitte
In un campo ho guardato passando oltre
E il suolo quasi uniforme sotto la coltre
Più non mostra che fili d’erba e stoppie.

I boschi intorno sono padroni del campo.
Ogni animale soffoca nella tana.
Io non conto, perché la mia mente è lontana:
La solitudine in sé inavvertito mi chiude.

E, solitaria com’è, la solitudine
Ancor più solitaria, anzi che meno, sarà
– Un candore più vacuo di neve ottenebrata
Senza espressione, senza nulla da esprimere.

Non mi fanno paura coi loro spazi aperti
E vuoti fra le stelle dove non è stirpe umana,
Quando io posso da me così vicino a casa
Far paura a me stesso con i miei luoghi deserti.

 

Robert Frost (1874-1963)

MAESTRI

GARCIA LORCA

MIA VIVA MORTE

Mia viva morte, amore delle viscere,
io aspetto invano una parola scritta
e penso, con il fiore che marcisce,
che se non vivo preferisco perderti.
L’aria è immortale. E la pietra nessuna
ombra conosce, né, immobile, la scansa.
Non ha bisogno nel profondo il cuore
del freddo miele che sparge la luna.
Ti sopportai. Mi lacerai le vene,
tigre e colomba, sulla tua cintura
in un duello di gigli e veleno.
Calma la mia follia con le parole,
o nella notte dell’anima oscura
per sempre, lascia ch’io viva sereno.

                                                        Federico Garcia Lorca (1898-1936)

MAESTRI

GATTO

POESIA D’AMORE

Le grandi notti d’ estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.

Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare
dal vento che pare l’ anima.

E baci perdutamente
sino a che l’ arida bocca
come la notte è dischiusa
portata via dal suo soffio.

Tu vivi allora, tu vivi
il sogno ch’esisti è vero.
Da quanto t’ ho cercata.

Ti stringo per dirti che i sogni
son belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi occhi.

E il bacio che cerco è l’ anima.

***

POESIA D’ESTATE

Trapeli un po’ di verde
il limone, il sifone,
il piccolo portone
della pensione,
trapeli il blu,
anche tu
vestita col tuo nudo rosa,
ogni cosa amorosa.
Amore è amore
liscio alla sua foce.
Un’alpe zuccherina,
l’amore è brina.
Che sogno averti vicina
notturna, fresca, sottovoce.

***

SEGUENDO L’ERTA DI CONCA

Il mezzogiorno lastrica le mude
di calce spenta, mi sostiene il vago
terrore di mancare, così nude
le gambe irragionevoli che appago
del ricordo del sole, così mio
l’inganno di seguirle al tremolìo
dell’universo vuoto.
Nel precipizio del cadere immoto
la mia paura a strèpito del cuore.
Ad attrarmi così, nel lieve moto
di quegli aghi silenti, fu stupore
di vita la sembianza dell’addio
che a distinguere il volto mi trovavo.
Ero l’orma sparita nell’incavo
del segno, a rilevarmi dall’oblio
fu la musica torrida, la spera
d’un riverbero alato, la Chimera.

Alfonso Gatto (1909-1976)
MAESTRI

GIOTTI

FIGURA DE PUTELA

Davanti una vetrina,
che se spècia i colori
ciari de la matina,
’na garzona ghe xe, col scatolon
sul brazzo, co la fronte sul lastron.

Sun una gamba sola
la sta; e el pie de l’altra,
lassada cascar mola,

la lo nina. Le scarpe che la ga
xe quele che la mistra ghe ga dà.

Dal viso solo un poco
se ghe vedi, un rosseto;
’na rècia, el colo, un fioco.
Sora el covèrcio, bela, xe una man
de pìcia, là pozada, una sua man.

Un pitor, co’l ga ciolta
zo ’na figura, altro
no’ ’l fa. Cussì stavolta
fazzo anca mi. Meto ancora un fiatin
de rosa su le calze, un cincinin

quel nastro d’i cavei
fazzo ancora più scuro;
e meto zo i penei.
Altro de far, altro no’ go de dir:
che ben ghe vòio, ’nidun pol capir.

La lasso parlar ela;
che sola la ve conti
quel che la varda in quela
vetrina, quel che la pensa, ormai là
ferma par sempre, quel che in cuor la ga.

                                                             Virgilio Giotti (1885-1957)
MAESTRI

GIUDICI

DICO CHE ARRIVERAI

Dico che arriverai da un lungo treno del mattino.
E devo voltarmi a ogni socchiudersi di porta
se non sia tu – o trasalire allo squillo uguale
a ogni altro se mai non fosse la tua voce
dall’altro capo a parlare, immaginarmi
rispondendo nel tenore convenuto
che a tutti indifferenza significhi e a te
invece: dove sei, mio amore, mio benvenuto?
Quale dei lunghi treni ti porterà?
Quale dei lunghi treni ti avrà portato?

Ho guardato l’ora all’orologio sul muro.
Ho aspettato lo squillo già
scusato come e perché non hai potuto chiamarmi,
ho pensato: e pensare che ero qui sola.
Brevi minuti ancora mi restano per supporre
il tempo che tu raggiunga la strada della mia casa
e un suono di citofono a questi miei inferi emerga
definitivo come un lieto annuncio di morte…
Ti scambieranno per uno come un altro – ho scherzato.
Arriverai domani se oggi non sei arrivato.

                                                               Giovanni Giudici (1924-2011)

MAESTRI

GIULIANI

GRIGIE RADURE S’ACCENDONO

Una banda di ragazzi preda le cavallette
nei terreni da vendere e pianta fazzoletti
in cima a pertiche, tra i cardi.
Il lavoro è già dietro lo steccato, avanza
col tonfo delle betoniere, cola con gli asfalti,
spela il cielo con la sega elettrica;
al suolo è rasa la muta torre.
Dal mio guscio di rovine saltano note di colomba.

Lascia un sentore felice la banda in fuga.
Laggiù sulle ville tramonta e grigie radure
s’accendono, il fiume rabbuia, soffia
un vento che non devasta né punge.
I lumi rossi vegliano ai cantoni del castello.

Alfredo Giuliani (1924-2007)
MAESTRI

GOVONI

COSE BELLE

Il campo di frumento è così bello
solo perché ci sono dentro
i fiori di papavero e di veccia;
ed il tuo volto pallido
perché è tirato un poco indietro
dal peso della lunga treccia.

Corrado Govoni ( 1984-1965)

MAESTRI

GRAVES

PARLA DEL SUO AMORE IN MEZZO AL SONNO

Parla del suo amore in mezzo al sonno,

nell’ora buia,

con parole spezzate, lievi sibili:

 

come la Terra si desta dal suo sonno invernale

e mormora erba e fiori

nonostante la neve

nonostante la neve che cade.

 

**

 

RIPORTARE IN VITA I MORTI

Riportare in vita i morti

non è somma magia.

Pochi sono completamente morti:

soffia sopra le ceneri di un morto

e scoccherà la fiamma viva.

 

Lascia che si ricomponga il dolore perduto

e le speranze avvizzite;

sottometti la penna alla sua scrittura

finché sia naturale

firmare col suo nome come col tuo.

 

Zoppica come lui zoppicava

bestemmia le sue stesse bestemmie;

se preferiva il nero, vestiti nello stesso modo;

se la gotta censiva le sue dita

sia lo stesso per te.

 

Raccogli gli oggetti che gli erano cari −

un mantello, il sigillo, la penna:

intorno a questi dettagli costruisci

una casa familiare

per l’avido redivivo.

 

Permettigli la vita, ma ricorda

che la tomba in cui abitava

non è più vuota adesso:

avvolto nei suoi abiti luridi

sarai tu a giacere lì dentro.

 

**

 

COME NEVE

Infine, lei, come la neve nella notte oscura,

caduta in segreto. E il mondo si sveglia

meraviglia di occhi assonnati,

alcuni mormorano “c’è troppa luce”,

e chiudono le tende.

Come neve, più calda di dita cagliate

dalla paura, docile al suolo;

fila le store della notte in trame ancora confuse.

 

Robert Graves (1895-1985)

MAESTRI

GUIDACCI

ALL’IPOTETICO LETTORE

Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa’ che siano
allora come foglie e come vento
assecondando il suo volo.
E sappi che l’affetto nell’addio
non è inferiore che nell’incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.

**

IL TUO RICORDO

Il tuo ricordo, sul fondo
della mia solitudine,
ne rivela l’ampiezza
e tuttavia la limita.

Così un canto d’uccello
addolcisce l’immensità del cielo
e una singola vela
rende umano il mare.

 

                                                                                                                 Margherita Guidacci (1921-1992)

MAESTRI

HARDY

DIVISIONE

Pioggia sulle finestre, porte cigolanti
e raffiche che spazzano il verde,
e io son qui e tu laggiù,
centinaia di miglia tra di noi!

O, fosse solo il tempo, cara,
o, fossero solo le miglia
a riassumere tutto ciò che ci separa,
potrebbe esservi posto per sorrisi.

Ma quella cosa obliqua tra noi due,
che nulla fende o elimina,
è più della distanza, cara, o della pioggia,
e più lunga degli anni!

 

SENZA COMPLIMENTI

Era da te, mia cara,

sparire senza dire be’

quando amici, parenti o visitatori

se ne andavano, e io rientravo in fretta

pensando di stare con te.

 

E se avevi voglia di correre

da qualche parte (in città, per dire)

in un istante sparivi

prima che io ci pensassi

o notassi i tuoi bauli da basso.

 

Adesso che con quella rapidità

sparisci definitivamente

mi sembra che vuoi dire

la stessa cosa di sempre:

“Dire addio non vale la pena”.

 

                                                                                                       Thomas Hardy (1840-1928)