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MAESTRI

HEANEY

SOGNO DI GELOSIA

Passeggiavo con te e un’altra donna
fra i boschetti di un parco, e l’erba bisbigliando
passava le sue dita in quel silenzio
carico di domande fra di noi,
e gli alberi si aprirono a un’ombrosa
inattesa radura. Ci sedemmo.
Penso sia stata la limpidezza della luce a turbarci.
Stavamo parlando di desiderio, di gelosia, la nostra
conversazione era un’ampia unica veste
o una tovaglia da picnic distesa
come un trattato di buone maniere nella natura selvaggia.
Dissi alla nostra compagna, ‘Mostrami
ciò che ho desiderato tanto ardentemente,
la stella color malva del tuo seno’.
E lei acconsentì.
Oh questi versi, amore, né la mia cautela,
potranno mai lenire il tuo sguardo ferito.

 

                                                                 Seamus Heaney (1939-2013)

MAESTRI

HECHT

INVESTITURA  DA  CECCONI

(per David Kalston)

Caro, quel sogno (dopo la diagnosi)
mi trovò spazientito davanti alla porta
del “nostro” sarto veneziano. Volevo
un abito da sera per il capodanno.

Poi un lume si accese. La vecchia che cuce
dall’alba al tramonto nel retrobottega, aprì
d’un guardingo centimetro, protestando
vivace per l’ora tarda.

Tessuti? Modelli? Quelli li mostra, non ora,
di giorno il proprietario – ma poi come un lampo
tutto il volto le si accende: Ma! il Signore
è venuto a provarsi la nuova vestaglia!

Vestaglia? Mi fa cenno di entrare. Il trittico
dello specchio evoca tre curve megere
in cui si è diffratta in spazio arcano. Per magia
riconvergono, braccia colme di luna.

Sulle mie braccia infila maniche di luce. Fresca
seta dalle solenni candide pliche – lutto orientale –
mi fascia dal collo ai piedi. Mi rivolgo
a lei, senza capire.

Ringrazi il suo amico, ridacchia, il Professore!
Sbigottito oscillo come un albero di lacrime. Tu –
così lontano, malato, impaurito – hai orchestrato
questo regalo che mi ferma il cuore.

Anthony Hecht (1923-2004)

 

 

 

MAESTRI

HENLEY

INVITTO

Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all’altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa delle circostanze
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d’ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.

 

William Ernest Henley (1849-1903)

MAESTRI

HERBERT

IL CIOTTOLO

Il ciottolo è una creatura
perfetta

uguale a se stesso
attento ai propri confini

esattamente ripieno
di senso pietroso

con un odore che non ricorda nulla
non spaventa nulla non suscita desideri

il suo ardore e la sua freddezza
sono giusti e pieni di dignità

provo un grave rimorso
quando lo tengo nel palmo
e un falso calore
ne pervade il nobile corpo

– I ciottoli non si lasciano addomesticare
fino alla fine ci guarderanno
con un occhio calmo e molto chiaro

 Zbigniew Herbert (1924-1998)

MAESTRI

HINDERMANN

DOVE PASSAVO

Dove passavo, la stanza,
o mi fermavo in ascolto
di passi nella memoria, confusi
già con i colpi che lievi
pareva sentissi alla porta sperando:
per un poco ancora,
per giorni o mesi non cambia,
senza di me rimane
uguale con l’ombra, lo sbuffo
della tenda sul davanzale,
il tulle lambisce, ricade svasato
sopra il gatto che lungo
il vetro sonnecchia e cui scuote
un crampo le ganasce e freme
azzannando nel vuoto
voli lontani.

Federico Hindermann (1921-2012)

MAESTRI

HUGHES

ESSERINO

O esserino, che ti nascondi dai monti tra i monti
ferito dalle stelle e che perdi ombra
che mangi la terra medicinale.

O esserino piccolo senz’ossi piccolo senza pelle
che ari con la carcassa di un fanello
che mieti il vento e trebbi le pietre.

O esserino, che tambureggi nel cranio di una mucca
che danzi con le zampette di un moscerino
col naso d’un elefante con la coda d’un coccodrillo.

Diventato così saggio diventato così terribile
suggendo i muffiti capezzoli della morte.

Siediti sul mio dito, cantami nell’orecchio, o esserino.

 

Ted Hughes (1930-1998)

MAESTRI

INSANA

A MIA MADRE MARIA CANNISTRA’

solo con il pensiero potrebbe disporre lenticchie
nel piatto con l’acqua
e riporle nel chiuso dell’armadio
perché germoglino senza verde
e sarò io per il giovedì santo di questa Pasqua
a fare sepolcro di esili pallidi steli
e apparecchiare il suo altare

Jolanda Insana (1937-2016)

MAESTRI

JABES

CANZONE DELLA PORTA STRETTA

Siamo entrati per sbaglio.
Abbiamo bussato alla porta di servizio.
Era estate. I grandi vascelli delle strade fumavano le loro stelle.

Tutto era sudicio.
Le donne insanguinate:
era il loro vestito.
Gli uomini nudi:
era la loro divisa,
alla rinfusa, per terra, magri come corde.
Avevamo freddo
e le città bruciavano
e gli alberi
attizzavano il fuoco del mondo.
Avevamo fame
e il pane correva a perdifiato,
il pane fuggiva non si sa dove.
Avevamo sete
e l’acqua era di marmo.
Ci siamo svegliati insieme
un mattino,
anonimi e laidi
come i versi.

 

Edmond Jabès (1912-1991)

MAESTRI

JOSZEF

METTI LA MANO

Metti la mano
sulla mia fronte
come se fosse mia
la tua mano.
Fammi la guardia
come chi vuole uccidere,
come se fosse tua
la mia vita.
Amami, se vuoi
il mio bene,
come se fosse tuo
il mio cuore.

                                                                                                                                  Attila József (1905-1937)

MAESTRI

KAFKA

RIMANI AL TUO TAVOLO

(…) Non è necessario che tu esca di casa.
Rimani al tuo tavolo e ascolta.
Non ascoltare neppure, aspetta soltanto.
Non aspettare neppure, resta
in perfetto silenzio e solitudine.
Il mondo ti si offrirà per essere smascherato,
non ne può fare a meno,
estasiato si torcerà davanti a te (…).

Franz Kafka (1883-1924)