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MAESTRI

PASOLINI

SUPPLICA A MIA MADRE

E’ difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile.

                                                    Pier Paolo Pasolini (1922-1975)

MAESTRI

PASTERNAK

LA NEVE CADE

La neve cade, la neve cade
alle bianche stelline in tempesta
si protendono i fiori del geranio
dallo stipite della finestra.
La neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
ogni cosa si lancia in un volo,
i gradini della nera scala,
la svolta del crocicchio.
La neve cade, la neve cade,
come se non cadessero i fiocchi,
ma in un mantello rattoppato
scendesse a terra la volta celeste.
Come se con l’aspetto di un bislacco
dal pianerottolo in cima alle scale,
di soppiatto, giocando a rimpiattino,
scendesse il cielo dalla soffitta.
Perché la vita stringe. Non fai a tempo
a girarti dattorno, ed è Natale.
Solo un breve intervallo:
guardi, ed è l’Anno Nuovo.
Densa, densissima la neve cade.
E chi sa che il tempo non trascorra
per le stesse orme, nello stesso ritmo,
con la stessa rapidità o pigrizia,
tenendo il passo con lei?
Chi sa che gli anni, l’uno dietro l’altro,
non si succedano come la neve,
o come le parole d’un poema?
La neve cade, la neve cade,
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
il pedone imbiancato,
le piante sorprese,
la svolta del crocicchi.

 

Boris Pasternak (1890-1960)

 

 

 

MAESTRI

PAVESE

IL PARADISO SUI TETTI

Sarà un giorno tranquillo, di luce fredda
come il sole che nasce o che muore, e il vetro
chiuderà l’aria sudicia fuori del cielo.

Ci si sveglia un mattino, una volta per sempre,
nel tepore dell’ultimo sonno: l’ombra
sarà come il tepore. Empirà la stanza
per la grande finestra un cielo più grande.
Dalla scala salita un giorno per sempre
non verranno più voci, né visi morti.

Non sarà necessario lasciare il letto.
Solo l’alba entrerà nella stanza vuota.
Basterà la finestra a vestire ogni cosa
di un chiarore tranquillo, quasi una luce.
Poserà un’ombra scarna sul volto supino.
I ricordi saranno dei grumi d’ombra
appiattiti così come vecchia brace
nel camino. Il ricordo sarà la vampa
che ancora ieri mordeva negli occhi spenti.

 

  Cesare Pavese (1908-1950)

 

MAESTRI

PENNA

POESIE

Ero solo e seduto. La mia storia
appoggiavo a una chiesa senza nome.
Qualche figura entrò senza rumore,
senz’ombra sotto il cielo del meriggio.

Nude campane che la vostra storia
non raccontate mai con precisione.
In me si fabbricò tutto il meriggio
intorno ad una storia senza nome.

***

Felice chi è diverso
Essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
Essendo egli comune.

***

Tu mi lasci. Tu dici « la natura… ».
Cosa sanno le donne della tua bellezza.

***

Qui è la cara città dove la notte
alta non ti spaura. Amici
solitari qui passano e ti danno
uno sguardo d’amore. O tu lo credi…

***

La tenerezza tenerezza è detta
se tenerezza cose nuove dètta.

***

Come è bello seguirti
o giovine che ondeggi
calmo nella città notturna.
Se ti fermi in un angolo, lontano
io resterò, lontano
dalla tua pace, – o ardente
solitudine mia.

 

Sandro Penna ( 1906-1977)

MAESTRI

PESSOA

SE QUALCUNO

Se qualcuno un giorno bussa alla tua porta,
dicendo che è un mio emissario,
non credergli, anche se sono io;
ché il mio orgoglio vanitoso non ammette
neanche che si bussi
alla porta irreale del cielo.
Ma se, ovviamente, senza che tu senta
bussare, vai ad aprire la porta
e trovi qualcuno come in attesa
di bussare, medita un poco. Quello è
il mio emissario e me e ciò che
di disperato il mio orgoglio ammette.
Apri a chi non bussa alla tua porta.

                                                                                      Fernando Pessoa, 188-1935

MAESTRI

PICCOLI

INTONAZIONE OGGETTIVA

È l’oggetto è l’oggetto – dicevi –
che tu devi cogliere, non il
manifestarsi ingrato dell’angoscia,
non la morte irredimibile.
E mi accarezzavi le spalle, con mani
giovani e antiche di chi sa
con che dolore porti il corpo lo spirito.

 

Giuseppe Piccoli (1949-1987)

MAESTRI

PLATH

LA RIVALE

Se sorridesse, la luna somiglierebbe a te.
Tu fai lo stesso effetto:
Di un qualcosa di bello ma che annichilisce.
Tutti e due siete dei grandi scroccatori.
La sua bocca a O si accora sul mondo; la tua

Non fa una piega, tu pietrifichi ogni cosa.
Guardo, c’è un mausoleo; eccoti qui che picchietti
Il marmo del tavolino, cerchi le sigarette,
Sprezzante come una donna, ma non così nervoso,
E muori dalla voglia di dire impertinenze.

Anche la luna i suoi sudditi umilia,
Ma di giorno è ridicola.
I tuoi malumori, d’altra parte,
Arrivano per posta amorosamente regolari,
Bianchi e vani, espansivi come il gas.

Non c’è un giorno al riparo da notizie di te,
Magari a spasso in Africa, ma pensando a me.

 

LIMITE

La donna ora è perfetta.
Il suo corpo
Morto indossa il sorriso della compiutezza,
L’illusione di una necessità greca
Scorre nei drappeggi della sua toga,
I suoi piedi

Nudi sembrano dire:
Abbiamo camminato tanto, è finita.
I bambini morti si sono rannicchiati,
Ciascuno, bianco serpente,
Presso la sua piccola tazza di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
Di nuovo nel suo corpo come petali

Di una rosa spenta quando il giardino
s’intorpidisce e sanguinano gli odori
dalle dolci profonde gole del fiore notturno.
La luna non ha motivo di essere triste,

guardando dal suo cappuccio d’osso.
È abituata a queste cose.
Le sue macchie nere crepitano e si tendono.

 

Sylvia Plath (1932 -1963)

MAESTRI

PORTA

TELEFONI DALL’AUTOSTRADA

Telefoni dall’autostrada domenica mattina
per dirmi degli sprazzi di luce
la pioggia battente e passaggi rapidi
di nuvole cariche di blu poi ancora
sprazzi di luce e gli alberi s’infiammano
di nuovo scrosci di pioggia primoautunno
attraversano l’Italia Centrale
ma tu passi tra i bagliori dei temporali
e mi telefoni per dirlo: «non c’è
traffico, l’autostrada è quasi deserta,
sto arrivando non ci sono più ostacoli».

 

Antonio Porta (1935-1989)

MAESTRI

POZZI

CONFIDARE

Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.

Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.

Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.

***

PUDORE

Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.

 

Antonia Pozzi (1912-1938)

MAESTRI

RABONI

I MANIFESTI

 

Chissà dov’ero, dove m’ero ficcato quando

le tue gambe hanno invaso la città.

Forse non guardo i manifesti.

Adesso paziente, maniaco ti do la caccia

di stazione in stazione

borbottando preghiere. Quello che non sei tu

esce dal fuoco o indietreggia se le tue

magre, livide dita si vede che una calza

tendono con increscioso pudore.

 

                                                                                                                     Giovanni Raboni (1932-2004)