LUCA ZULIANI, L’ITALIANO DELLA CANZONE – CAROCCI, ROMA 2018
Molto interessante questo libro di Luca Zuliani, professore di Linguistica all’Università di Padova, studioso di metrica e poesia contemporanea. L’italiano della canzone esplora la relazione esistente tra la musica leggera e la lingua letteraria, esaminando il repertorio canoro nostrano degli ultimi cinquant’anni, con numerosissimi e calzanti esempi, tesi ad illustrare i rapporti di filiazione, opposizione o estraneità esistenti tra i versi delle canzoni e quelli poetici.
Lingua armoniosa per eccellenza (dolce, sonora, priva di asperità, ricca di vocali), la nostra è tuttavia poco adatta ad essere musicata, a causa della scarsa presenza di parole tronche (cioè accentate sull’ultima sillaba), frequentissime invece in molte altre lingue, e soprattutto in inglese. Da noi esse si limitano ai monosillabi, a qualche forma verbale, a pochi vocaboli astratti e ad alcuni avverbi. Come hanno ovviato a questo pesante handicap i parolieri di musica leggera? In passato, e fino al secondo dopoguerra, troncando parole piane (fior, amor, ben, muor) o utilizzando termini desueti (dì, mercé, beltà); oggi usando l’escamotage di accentare sull’ultima vocale anche le parole sdrucciole (gli 883: “sei una libìdiné”; Arisa: “storia màgicà”; Battiato: “la vecchia brétoné”), o invertendo il loro ordine usuale (Vecchioni: “la guerra paura non fa”), oppure concludendo con congiunzioni, pronomi, avverbi, verbi o esclamazioni accentate (Vasco Rossi: “che se ne frega di tutto, sì!”; “sei in forma, ué!”), o ancora ricorrendo direttamente al dialetto e a lingue straniere (Adriano Celentano: “che ti fulmina sul ring”; Domenico Modugno: “un uomo in frak”).
Zuliani si sofferma con puntualità sugli aspetti tecnici della composizione dei testi, chiarendo in che modo funzionino versi, rime e strofe nelle canzoni e nella poesia, sottolineando giustamente come quest’ultima sia divenuta oggi del tutto marginale nella cultura di massa, ridotta a un’arte di nicchia poco praticata e poco letta dal pubblico, a tutto vantaggio delle canzoni, i cui testi si sono evoluti formalmente e contenutisticamente rispetto al passato, al punto che un recente premio Nobel è stato attribuito a Bob Dylan. Oltre a queste ed altre spiegazioni specialistiche (sapevate cos’è la “mascherina”? è una sorta di tavola numerica che i musicisti apprestano per i parolieri che non conoscono le note…), l’autore analizza altri elementi comuni ai testi delle canzoni e a quelli poetici: la strofa, il ritornello, la quartina, sempre sottolineando che metrica e ritmo (lingua e musica) convivono su basi differenti: la prima contando il tempo con le sillabe, la seconda con le battute. Si addentra poi in commenti più ampi riguardanti la scrittura dei testi considerati artisticamente più ambiziosi, quelli che tendono a far prevalere l’importanza della scrittura sulla musica. Per intenderci, quelli di De André, De Gregori, Luigi Tenco, Carmen Consoli, Bluevertigo, Marlene Kuntz, che riprendono forme letterarie utilizzando addirittura versi canonici come l’endecasillabo, o frasi lunghe e complesse, con frequenti subordinazioni e asimmetrie.
Tuttavia, se oggi nella produzione di musica leggera, prima si compone la melodia e ad essa si adattano le parole, è evidente che la lingua italiana risulta spesso mortificata dalle esigenze della musica, degli arrangiamenti e delle interpretazioni. In fondo, “sono solo canzonette”, come suggeriva Bennato: pretendere da esse che si innalzino ad arte è forse eccessivo. Stimolante e curioso rimane, comunque, poter indagare su regole e tecnicismi che riescono a farle funzionare, regalandoci momenti belli: in questo ci aiuta il libro di Luca Zuliani.
© Riproduzione riservata «Il Pickwick», 7 novembre 2018