LUDOVICO ARIOSTO, SATIRE – EINAUDI, TORINO 2021
Era un Ludovico Ariosto maturo, quello che compose le Satire tra il 1517 e il 1525, ritoccandole fino al 1530. Aveva già scritto la prima versione dell’Orlando furioso, due commedie in prosa (La Cassaria, I Suppositi), e rivestiva l’incarico di sovrintendente ufficiale agli spettacoli di corte degli Estensi. Un Ariosto maturo e famoso, quindi, ma non sereno e pacificato nei suoi rapporti con il mondo, con i Signori di cui era alle dipendenze, con la diplomazia e con il Papato. Nelle Satire – profondamente innovatrici nella forma e nei contenuti rispetto alla sua precedente produzione letteraria – venne a esprimere dunque il suo disappunto, l’amarezza, l’ironia verso quella società cortigiana da cui si sentiva condizionato, pressato e sfruttato, economicamente e ideologicamente. Con toni tuttavia più bonari che bellicosi, e con una esplicita finalità etica.
L’editore Einaudi, che le aveva pubblicate nel 1987, le ripropone ora in una nuova edizione aggiornata, sempre con la stessa introduzione, le note, il commento e la bibliografia di Cesare Segre, che le aveva definite “opera con uno schema energicamente biografico, e un investimento morale altrettanto forte”.
Si tratta di sette componimenti epistolari in terzine dantesche, di impianto dialogico e teatrale, indirizzate a destinatari noti dell’ambiente familiare o amicale del poeta (fratelli, cugini, esponenti della nobiltà ferrarese, più il letterato Pietro Bembo), di cui non conosciamo le eventuali risposte o reazioni, né sappiamo se siano state effettivamente inviate, lette o diffuse, se non come manoscritti in circoli ristretti o tra privati. Pubblicate clandestinamente solo nel 1534, e quindi in via ufficiale nel 1550, sembra probabile che Ariosto abbia preferito non renderle pubbliche finché era in vita, temendo di inimicarsi gli ambienti ecclesiastici e principeschi che prendeva di mira, facendo apertamente nomi e cognomi di corrotti, arrivisti, traditori. In ogni satira l’autore si rivolge a diversi “tu” cui attribuisce commenti e obiezioni: in primo luogo interroga sé stesso, con riflessioni e analisi anche severe; quindi si confronta con l’effettivo destinatario della missiva e con altri personaggi a lui vicini, talvolta riportando le obiezioni di un contraddittorio anonimo e generico, da cui si trova a sua volta messo in accusa.
Il risentimento espresso nelle Satire è soprattutto verso quei potenti che, pretendendo da lui servigi in missioni diplomatiche lontane dalla città e dalla donna amata, gli impedivano di attendere alla sua opera come avrebbe voluto, coinvolgendolo in situazioni e in pratiche detestate e biasimevoli. Pur descrivendosi nei propri difetti e cedimenti, Ariosto non può fare a meno di confrontare la sua statura morale con quella dei personaggi che è costretto a frequentare, prede di orgoglio e ambizione smisurati, pronti a qualsiasi iniquità e scelleratezza pur di accaparrarsi benefici economici e di potere. Si dichiara quindi pronto alla rinuncia di ogni privilegio, pur di poter mantenere la libertà e la tranquillità: “Più tosto che arricchir, voglio quïete”, “Chi brama onor di sprone o di capello, / serva re, duca, cardinale o papa; / io no, che poco curo questo e quello”.
Ogni componimento alterna brevi episodi fiabeschi o apologhi alla narrazione di vicende biografiche e all’esposizione pacata di meditazioni personali, con lo scopo di rinforzare metaforicamente i messaggi più manifestamente polemici. Nella piacevolezza delle descrizioni naturali, nell’elogio della vita semplice e nel rifiuto di qualsiasi enfasi o pesantezza boriosa, le Satire rivelano il debito che Ludovico Ariosto nutriva verso la poesia di Orazio, sia nella scelta della forma epistolare, sia nella franchezza e linearità del tono colloquiale.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net › Satire-Ariosto 11 maggio 2021