ERMANNO CAVAZZONI, GLI EREMITI DEL DESERTO – QUODLIBET, MACERATA 2016
Ermanno Cavazzoni (Reggio Emilia, 1947) ha scritto libri sempre piuttosto lontani dalla tradizione letteraria italiana più consueta: visionari, fantastici, ironici, da lui stesso definiti come “sfoghi di maniacalità”. «Mi vengono così – ha confessato – dovete scusare». Gli eremiti del deserto è un esempio di questa sua narrativa atipica: raccoglie infatti una sessantina di ritratti, per lo più brevi e stilizzati, di eremiti egiziani, palestinesi e siriani vissuti tra il III e IV secolo, rielaborando i testi tramandatici dalla patristica, e scegliendo tra loro «le vite più estreme e esemplari».
Il volume si apre con la descrizione delle prime tre figure ascetiche votate a Dio nelle solitudini desertiche: Paolo, Antonio e Ilarione. Della biografia di Antonio (senz’altro il più noto, a cui anche Flaubert dedicò un libro) vengono sottolineate la vocazione, le persecuzioni familiari, la ricerca del luogo adatto per l’isolamento, la resistenza irremovibile al peccato, la morte sopravvenuta dopo i cento anni. Caratteristiche comuni alle vite di questi santi anacoreti furono senz’altro la preghiera assidua, la meditazione, l’intercessione in favore del prossimo, la lotta combattuta contro le tentazioni del demonio. I sacrifici a cui si sottoponevano amplificavano la loro fama di santità, per cui molti malati, storpi e anime inquiete li interpellavano supplicando una guarigione o un qualsivoglia conforto. Altro tratto tipico dell’esistenza degli eremiti di cui scrive Cavazzoni erano le privazioni che imponevano a se stessi soprattutto per vincere la lotta con il diavolo, che appariva loro sotto le sembianze di bestie feroci, o allettandoli con lusinghe sessuali, o ancora tormentandoli con allucinazioni visive e uditive. Eusebio così si esprimeva a questo proposito: «Se vinco il maligno nelle piccole cose poco importanti, non mi vincerà nelle importanti, e non mi infiammerà con la concupiscenza, con le passioni e la vanità». Quindi, cibo frugalissimo (datteri, lenticchie, farina bagnata, fichi, radici, erbe) assunto in dosi minime, idratazione ridotta all’essenziale, semi-nudità o vestiario limitato a stracci, coperte logore o mantelli di cuoio. L’ambiente in cui si costringevano a vivere era il più misero e disagevole possibile: grotte, buche nel terreno, capanne, pozzi, casse e gabbie di legno, o colonne altissime sopra le quali rimanevano immobili giorno e notte, spesso in posizione eretta. Il corpo veniva mortificato con cilici, catene, collari, pesi di ferro, mutilazioni, digiuni protratti fino allo sfinimento, oppure esponendolo alle intemperie e sfiancandolo in pesanti fatiche fisiche.
Ermanno Cavazzoni stuzzica la nostra curiosità con aneddoti e stranezze, confessando la sua attrazione per questi personaggi, e per le loro scelte di vita oggi non più proponibili (in quale deserto potrebbe ormai rifugiarsi un anacoreta, nel nostro mondo invaso da esplorazioni satellitari e turismo incontrollato?): «Ho sempre letto queste vite con ammirazione e invidia, per quei tempi di libertà, di povertà volontaria non sindacalizzata, di avventure interiori e incontri fantastici straordinari».
© Riproduzione riservata www.sololibri.net/Gli-eremiti-del-deserto-Cavazzoni.html 15 novembre 2017