EDGARDO FRANZOSINI, SOTTO IL NOME DEL CARDINALE – ADELPHI, MILANO 2013
Edgardo Franzosini, scrittore e traduttore lombardo, alla sua terza pubblicazione da Adelphi, affronta ancora una volta la vita di un personaggio storico, la cui vicenda biografica -non immediatamente e universalmente nota, ma nemmeno del tutto sconosciuta- assume nelle sue luci e nelle sue ombre, nei riconoscimenti meritati e nelle ingiustizie patite, un valore paradigmatico, esigendo un riscatto postumo. Quindi, dopo aver raccontato di Raymond Isidore e Bela Lugosi, l’autore ricostruisce qui la tormentata storia del sacerdote Giuseppe Ripamonti, nato nel 1577 e morto il 14 agosto 1643 (e non è forse casuale che il giorno del suo decesso coincida con il compleanno di Franzosini, così come il luogo della sua morte -Rovagnate in Brianza- sia il paese natale del nostro autore: se queste coincidenze possono in qualche modo giustificare il coinvolgimento emotivo di chi scrive nei riguardi dell’oggetto del suo studio…). Ripamonti fu uno storico utilizzato come fonte da Alessandro Manzoni sia nei Promessi Sposi sia nella Storia della colonna infame, e da lui molto apprezzato per la documentata puntigliosità descrittiva, e per l’eleganza del suo latino «rigorosamente modellato sui grandi autori classici». Franzosini ripercorre l’esistenza del personaggio a partire dalle origini contadine, dagli studi in seminario e dai primi impieghi come precettore, fino all’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1605, mettendone in luce soprattutto il carattere: «Riservato, introverso, suscettibile, con la precisa consapevolezza della propria superiorità intellettuale, arso dal fuoco dell’ambizione… istintivamente insofferente verso alcune regole di disciplina».
L’indole geniale e ribelle di Giuseppe Ripamonti venne ben presto a scontrarsi con quella, altrettanto «viva e risentita… calda e collerica», per quanto mascherata da una «pacatezza imperturbabile», del suo superiore e mentore, Cardinale Federico Borromeo, di cui Manzoni ci ha lasciato un ritratto monumentale. Dopo aver nominato Ripamonti «istoriografo» nel Collegio dei nove Dottori della Biblioteca Ambrosiana, e averlo accolto nel suo stesso palazzo arcivescovile per sottrarlo all’invidia velenosa degli altri studiosi, e dopo avergli affidato l’incarico prestigioso di redigere una Historiarum Ecclesiae Mediolanensis, Borromeo diede inizio a una sistematica persecuzione del suo sottoposto, che sfociò in un arresto, in vari e lunghi processi, in una condanna dell’Inquisizione e infine nella prigionia durata quattro anni.
Scandagliando documenti d’archivio, lettere autografe, cronache dell’epoca e posteriori, Franzosini riesce a offrirci un’esauriente ricostruzione dell’ambiente della curia ambrosiana del 1600, dei suoi intrighi, delle faziosità culturali, delle falsità ufficiali e delle verità ufficiose, principalmente in fatto di ortodossia ed eresie religiose. Ma soprattutto indaga nei meandri dell’inconscio e del rimosso, che possono portare anche anime fulgide e personaggi in odore di santità a manifestazioni di puerile fragilità, di insospettabili e meschine ripicche. Le accuse terribili, mai del tutto provate, che condussero Giuseppe Ripamonti in carcere (insubordinazione, tradimento, stregoneria, forse sodomia) potevano essere frutto di un risentimento personale, dovuto a gelosia intellettuale? Edgardo Franzosini ci descrive un Cardinale Federico Borromeo tormentato da una «irresistibile vocazione letteraria» e insieme bloccato da un impedimento paralizzante che lo rendeva complessato sia nei confronti dell’inarrivabile modello – il cugino San Carlo- , sia verso altri letterati contemporanei. Con uno stile rigoroso e classico, e offrendo al lettore un ricco apparato di note e una puntuale bibliografia, Franzosini ha saputo restituirci un ritratto convincente di due personalità di grande spessore, legate in vita e in morte da un contrastato rapporto di stima-disistima, amore e odio. Rapporto ipocritamente edulcorato nell’epigrafe incisa sulla lapide apposta alla casa natale di Ripamonti a fine ‘800: «espiò duramente in se stesso l’invidia altrui e le proprie stranezze solo confortato dal patrocinio dell’immortale Federico Borromeo».
«incroci on line», 23 giugno 2014