IRINA ERMAKOVA, LO SPECCHIO DI BRONZO – EINAUDI, TORINO 2023

Con una approfondita introduzione e un’accurata traduzione di Alessandro Niero, Einaudi pubblica nella Collezione di Poesia un’antologia di versi della poeta russa Irina Ermakova, nata in Crimea nel 1951 e residente a Mosca da molti anni. Ermakova, laureata in ingegneria, esordì trentaseienne presentando alcune poesie su un bollettino di fabbrica, e continuò successivamente a scrivere al di fuori della cerchia letteraria e accademica più accreditata sia nel periodo della perestrojka sia in quello della restaurazione putiniana, scavandosi una nicchia di produzione “spuria” tra avanguardia e tradizione, ma ben presto riconosciuta nella sua originalità sia in patria sia all’estero.

Tra i temi che le sono più consoni, senz’altro l’interesse per la cultura classica e la mitologia, riambientate nell’attualità, è riscontrabile in alcune poesie dedicate a Pan, ad Afrodite, a Eros e Thanatos. In Ninnananna a Odisseo, compresa nella raccolta omonima, Ulisse navigatore diventa poeta esiliato, Penelope una ragazza invecchiata, Itaca è Mosca, la Crimea l’antica Tauride: “C’è calca sul viale Primorskij, brivido di notizie, / le candele arroventate dei castagni seminano i particolari: / tutti hanno visto Odisseo affrettarsi verso il mare, / abbracciando le spalle olivastre della sua Odissea. //… Pregustando tempesta, fremono i panni nei cortili, / giacché la patria è il cielo – qualunque: Itaca, Odessa…”.

Se la trasposizione dell’antichità nel mondo contemporaneo è evidente e ribadita, lo è altrettanto l’inserimento delle mutazioni climatiche all’interno di episodi autobiografici. Aria e acqua animano i versi di Ermakova in un turbinio di tempeste di neve, bufere ventose, piogge scroscianti, tutte metafore delle indomabili forze naturali che trascinano con sé i destini umani: “Con fragore – senza remore – / squarciato è il sacco delle nubi / la sferza frusta e sibila / l’acquazzone marcia verso la città”, “La neve infuria. Si addensa il mondo, si fa ancora più angusto. // … La città verrà presa”, “Inizia a piovere, inizia a piovere, / le prime gocce dilavano il volto, / la pioggia avvampa, stronfia, si affaccenda, / l’onnipossente ruota fa girare”, “dalla finestra dell’asilo guardi: pioggia e pioggia / ad allagare, pare, tutto, nessuno si trova più”.

È un’antologia caleidoscopica, questa curata con grande passione da Alessandro Niero, in cui troviamo i temi più vari, le tonalità più contrastanti: versi amorosi tranquillamente e impudicamente elegiaci, privi di remore verso il sentimento romantico; gallerie di ritratti ironici o commossi, comunque lontani dal bozzettismo; pseudo-traduzioni dal giapponese classico. Quasi che la poeta, nel proiettarsi in avanti nel tempo come nel recupero della tradizione a ritroso, voglia dare prova della propria eccezionale versatilità stilistica, del grande e variegato repertorio di contenuti cui può attingere.

Così, nella raccolta Alveare del 2007 la quotidianità della vita di un quartiere periferico di Mosca viene raccontata attraverso le vicende degli abitanti dei caseggiati popolari: anziane pettegole, musicisti falliti, gattare, madri alcolizzate, compagni di scuola recuperati nel ricordo, in toni narrativi lontani dall’aneddoto, e invece pietosamente solidali con la realtà impoverita del suburbio: “E c’è anche Goga, nostro vicino d’appartamento, al 102 – / Goga-yoga-sbam. Come lo scherzano i bambini perfidi. / C’aveva un anno e fu lasciato cadere, si sfasciò la zucca / e adesso è Yoga, anche se pare uno yeti, più che altro”.

Con intento quasi ludico ma sempre elegantemente allestito, in Carboncino scarlatto su seta nera (2012) sono riuniti centootto microtesti composti con lo pseudonimo di Yoko Inati e ambientati nel Giappone del XII secolo, di cui Ermakova si finge traduttrice e curatrice, ricalcando le forme tradizionali dei tanka e degli haiku nipponici: “Una gelida luna / gli rischiara la strada / oltre la mia porta. / Getterò il cuore ai suoi piedi – / che inciampi!”

Maestra nell’utilizzare immagini suggestive tratte dall’osservazione della vita quotidiana (oggetti, vegetali, animali, persone, abitudini), la poeta russa veicola attraverso esse, talvolta con un linguaggio volutamente oscuro, riflessioni sulla insondabilità e insieme sull’irriducibile grandezza dell’esistenza umana, sia nel considerare l’infinitezza temporale e spaziale, sia nei rapporti di affetto e amicizia con chi le è più caro : “Così nel vuoto il vuoto gioca allettante / traendo un suono puro dal nulla / l’agile lappola cantilenante saltella / piccolo secco testimone di un Big Bang”, “Come amo i conversari a tarda sera. / I miei più miei tutti attorno a un tavolo”.

Il lavoro attento e partecipe del curatore e traduttore Alessandro Niero, condiviso con l’autrice stessa, viene esplicitato ai lettori attraverso un ricco apparato di note ai testi, con la rammaricata consapevolezza di “quanto va perso nel traghettamento dal russo all’italiano”: ma a tale impegno va reso il plauso di una sensibile penetrazione nel mondo interiore di Irina Ermakova, e della non semplice resa della polisemia lessicale dei suoi versi.

 

© Riproduzione riservata            «Gli Stati Generali», 28 febbraio 2023