ROBERTO ESPOSITO, I VOLTI DELL’AVVERSARIO – EINAUDI, TORINO 2024

Roberto Esposito, Professore emerito di Filosofia teoretica all’Università Normale di Pisa, con il suo ultimo, complesso e interessantissimo volume I volti dell’Avversario, traccia una cesura, uno scarto tematico rispetto alla sua produzione più nota, indirizzata negli ultimi anni verso la biopolitica e i rapporti tra movimenti e istituzione: allo stesso modo i dieci versetti della Genesi (32, 23-33) di cui si occupa in questo libro costituiscono una netta rottura all’interno del ciclo narrativo che riguarda il personaggio biblico di Giacobbe. Il brano indagato dall’analisi di Esposito racconta l’episodio della lotta del patriarca (figlio di Isacco e Rebecca, fratello di Esaù, sposo di Lia e di Rachele, padre di dodici figli), che fuggendo dall’inseguimento vendicativo del fratello a cui aveva sottratto la primogenitura con l’inganno, si accampa sulla riva del torrente Jabbòk, dopo aver messo in salvo sull’altra sponda l’intera sua famiglia, nella speranza di condurla alla terra promessagli dal Signore.

Giacobbe quindi rimane solo, di notte, e improvvisamente gli appare dinanzi un uomo dal profilo fisico e morale indefinito, con cui inizia a lottare “fino allo spuntare dell’aurora”, in un alternarsi di duri colpi inferti e restituiti vicendevolmente, finché questo oscuro Avversario (Esposito usa l’iniziale maiuscola) lo colpisce all’anca, provocandogli una slogatura che lo renderà zoppo per sempre, e ne segnerà la trasformazione spirituale. Infatti, al sorgere del sole la sfida tra i due contendenti si conclude, e Giacobbe chiede al nemico di benedirlo; questi, senza rivelargli la propria identità, così gli risponde: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”.  Giacobbe stesso riconosce orgogliosamente la propria superiorità nel conflitto, quando afferma: “Ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva”.

Il nome Israele, attribuitogli da un’entità sconosciuta, significa “colui che lotta con il Signore”, e sta a indicare non solo il suo destino, ma anche quello della popolazione di cui sarà capostipite, segnata nei millenni da un’immedicabile “ferita che si è fatta storia”.

Chi è l’Avversario? Chi è colui che lotta con Giacobbe “fino allo spuntare dell’aurora”? Un uomo, come lo definisce il brano genesiaco, oppure Dio, un Angelo, il Male, un nemico nazionale o religioso, una divinità protettiva del fiume Jabbòk, un incubo, l’inconscio rimosso? E cosa simboleggia la lotta tra i due? Si tratta veramente di uno scontro, di un corpo a corpo feroce, o non piuttosto di un abbraccio furioso e annichilente, o di una danza inebriata, secondo le varie raffigurazioni tramandateci dall’arte?

L’indagine di Roberto Esposito si articola in dieci capitoli e in un corposo repertorio di glosse e di note, che non si accentrano solo sull’episodio biblico preso in considerazione, ma ne valutano la “straordinaria irradiazione nella tradizione culturale degli ultimi due secoli in ambito filosofico, letterario, artistico, politico, psicoanalitico”.

I filosofi, gli storici, gli psicanalisti passati in rassegna dall’autore indicano ipotesi diverse e a volte contrastanti nel delineare la figura del nemico: vengono citati Heidegger, Barthes, Girard, Rank, Freud, Jung, Schmitt, Stirner, Peterson, Lacan, Recalcati, Agamben, tutti concordi nel sottolineare la potenza metamorfica che consente all’Avversario di assumere infiniti volti.

Scrittori e poeti come Baudelaire, Malraux, Mann, Bernanos, Sachs, Celan, Corbin, Carrère, Capote,

si sono confrontati con i nuclei tematici che emergono dal ciclo di Giacobbe (Potere, violenza, inganno, dualità, fratellanza, vendetta, paura, rimorso, narcisismo, enigma), tentando di darne una chiarificazione. La stessa cosa hanno fatto i pittori presi in esame da Esposito, in primo luogo Eugène Delacroix, il cui dipinto – collocato su una parete della chiesa di Saint-Sulpice a Parigi -, ha attirato l’attenzione dell’autore in ogni visita alla capitale francese reiterata per trent’anni. Se Delacroix raffigura il movimento dei corpi che lottano in un epico contrasto tra l’impeto furioso di Giacobbe e la forza trattenuta ed elegante dell’Angelo, Rembrandt lega i due contendenti in un abbraccio inclusivo, mentre Odilon Redon addirittura nasconde il patriarca tra le ali del Messaggero, e Moreau mantiene i duellanti discosti;  Gaugin invece oggettivizza la scena attraverso lo sguardo di alcune spettatrici in primo piano, Chagall e Bonnat utilizzano intensi contrasti coloristici, e Marte Sonnet raffigura l’Avversario come una nera forza informe e minacciosa.

Un ulteriore e forse definitivo conflitto è quello che coinvolge il lettore di Genesi 32 con l’interpretazione del testo, a cui Roberto Esposito tende a dare infine una soluzione assolutamente condivisibile: “Non si lotta – da parte di Giacobbe come da parte di ognuno di noi – per impadronirsi di una verità inattingibile, ma per accertarne l’inafferrabilità… Quale ne sia la motivazione contingente, in ultima analisi lottiamo sempre per la nostra verità, per cercare, almeno per una volta di vederla ‘faccia a faccia’, come Giacobbe fa con l’Avversario, prima che si dilegui di nuovo…”. Lottiamo tutti con il nostro inconscio, il daimon interno che tendiamo a espellere fuori di noi: “dal momento che non si darà mai un tempo umano riconciliato, esteriore o posteriore al conflitto con l’altro e con se stesso”. Per dirlo con le magiche parole della poetessa Nelly Sachs, che tanto ha combattuto con i mulini a vento della mente e con le concretissime persecuzioni della Storia: “nessuno torna illeso dal suo dio”.

© Riproduzione riservata         «Gli Stati Generali», 22 giugno 2024