ANGELO GACCIONE, SPORE – INTERLINEA, NOVARA 2020

 Spore, con la presentazione di Alessandro Zaccuri e una nota di Lella Costa, è un libro di poesie di Angelo Gaccione, narratore e drammaturgo cosentino residente da anni a Milano, dove dirige il blog culturale Odissea. Spore sono le cellule riproduttrici che nei vegetali, nei funghi e nei batteri si disperdono volatili nell’ambiente, e resistendo a condizioni avverse, generano organismi vitali. Titolo appropriato per queste poesie molto particolari, che rivelano una loro robusta e pungente vivacità.

Nella prima sezione (Per il verso giusto), si presentano in forma quasi epigrammatica, sferzanti come gli aforismi dei moralisti, giocose e ironiche nei calembour linguistici, condite talvolta da una notevole dose di civile indignazione, e addolcite più spesso da un sentimento di solidale indulgenza.

Scherza, il poeta, memore del “lasciatemi divertire” di Palazzeschi, nelle composizioni più fresche e briose (“C’era una volta un occhio / che aveva un solo orbo. // Vedere tutto a metà / fu la fortuna sua”). Altrove mostra una vena irrispettosa e amaramente sarcastica persino nella rivisitazione di brani evangelici (“Tre volte cantò il gallo / e un uomo fu tradito. // Tre uomini furono traditi, / ma nessun gallo cantò”, “Beati i poveri perché… / quello che lasceranno da morti / ai vivi non nuocerà”, “Barabba! Barabba!  / gridava la folla. // È sempre l’innocenza / che spaventa il delitto”), oppure una velata malinconia nel commentare destini e comportamenti comuni agli esseri umani (“Il tempo prende a tutti le misure. // Un metro o poco più. // È tutto”, “Morì il padrone / e il cane lo seguì. // Mai avvenne il contrario”, amarezza sempre riscattata dall’aculeus del verso finale: “Piantò il pianto. / Lo seppellì profondo, // voleva eliminarlo / dalla faccia del mondo. // Nacque il salice.  / Ne fu contento”.

Giustamente Zaccuri avverte nel “piccolo canzoniere d’amore e di rabbia” di Angelo Gaccione una tensione etica “sul crinale che   sta tra attesa e memoria, tra rievocazione elegiaca del passato e scommessa caparbia su un futuro che tarda ad avverarsi”.

La seconda sezione del volume, La presenza dei morti, appare più distesamente risolta e armoniosa, come nella commovente poesia iniziale: “È sorprendente quanto siano vive, / le cose appartenute ai morti. // Non è solo il maglione, / rimasto ripiegato sul divano, / o la vestaglia appesa alla parete. // Mio padre la vede muoversi in giardino, / e ravvivare il fuoco del camino. // Le parla spesso, dice, e lei risponde. / E per quanto incredibile, gli credo”.

La rievocazione dei cari che non vivono più non ha nulla di retorico, ma dichiara tutta la propria affettuosa riconoscenza per il bene da loro ricevuto, nella consapevolezza che amore, amicizia e rispetto verranno conservati per sempre, e tramandati in chi ci succederà. “Ho consegnato il testimone a te, figlia, / e mi ricorderai. // Tu lo hai consegnato alla tua, / e ti ricorderà”.

 

© Riproduzione riservata             «Odissea», 13 novembre 2021