NICOLA GARDINI, TRADURRE E’UN BACIO – GIULIANO LADOLFI, BORGOMANERO 2015

«Tradurre è cucinare…Tradurre è una corrente…Tradurre è uscire dal contorno…Tradurre è lasciar dire…Tradurre, infatti, è capire…Tradurre è fare rima…Tradurre è un atto critico…Tradurre è un atto mitico…Tradurre è un’alchimia…Tradurre è un’armonia…La traduzione è danza…La traduzione è sogno…La traduzione è un bacio…».

Sono alcune definizione che Nicola Gardini (poeta, narratore, critico, pittore, professore di letteratura comparata a Oxford e, appunto, traduttore) dà di quest’arte trascurata, mal pagata, contestata, che è la traduzione. Arte di per sé umilissima, perché mette il sordina la voce personale di chi la esercita dando invece voce a un altro da sé: «(La traduzione è un bacio. / E’ avere nella bocca / Non una, ma due lingue / Contemporaneamente)», e insieme superbamente presuntuosa, perché pretende di interpretare stili e sentimenti che non le appartengono: «(Tradurre per avere un solo punto / Da cui tenere tutto, / Suddiviso e congiunto. / Ricostruire l’ordine distrutto)».

Gardini ha scritto un centinaio di poesie (Tradurre è un bacio, edito da Giuliano Ladolfi) nell’arco di un mese, all’inizio del 2015, pressato dall’esigenza di comporre un omaggio in versi, e in qualche modo anche un pamphlet saggistico, in onore e difesa non solo della traduzione, ma anche del traduttore. Nella nota finale così argomenta la sua arringa poetica: «Tradurre si fa, è possibile, e va capito nella sua complessità umana, artistica e civile, e nella sua bellezza. Non ci sono, per me, schemi, griglie, ipotesi, ma solo prassi e stupori, e una molteplicità di punti di vista»,

Si traduce per amore, per volontà di conoscenza, con meraviglia nei riguardi della bellezza: «Io non ho lingua, io sto all’erta, / A bocca aperta, / Come i bambini quando nevica / O come il pesce»; «Non c’è, per quanto scaltra, / Parola sufficiente. / Può vincere sul niente / Se vive per un’altra». Si traduce per riempire i propri vuoti, per colmare le mancanze, per arricchirsi emotivamente: «Proprio non so la sete di cui vive / Questo mio cuore vuoto e, come il bruco / Che ha già finito il filo, ecco, traduco».

E Nicola Gardini ha tradotto tanto, già dall’adolescenza, scrittori antichi e contemporanei, greci-latini-tedeschi-francesi e soprattutto anglosassoni, incontrando i suoi poeti nei libri e di persona, mettendosi in competizione con altri traduttori, rivendicando orgogliosamente la legittimità artistica dell’interpretazione soggettiva, difendendo l’artigianalità raffinata del suo lavoro dai boriosi criticismi accademici. Ma anche proponendo un aspetto ludico e leggero della traduzione (come nel divertissement quasi scialojano L’uomo, in cui si interroga sulla capacità traduttiva degli animali). Difendendo l’uso della tanto bistrattata rima («La rima innanzitutto. / Dovunque e purchessia, / Non solo in poesia»). E contestando il luogo comune dell’isolamento del traduttore: «La gente crede che tradurre / Sia un lavoro solitario: / Tu e il dizionario. / Ma se è il massimo della compagnia! / Uno che ti insegna a produrre, / Uno che ti fa fare una poesia».

Insomma, questi versi di Gardini recitano una dichiarazione d’amore a un mestiere ingrato e appagante, duro e generoso, ingordo e delicato, come risulta evidente da questo ultimo esempio: «Per certi il paradiso è luce, / Per altri leggere da mane a sera…/ Per me la beatitudine vera / È un posto dove si traduce».

 

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www.sololibri.net/Tradurre-e-un-bacio-Nicola-Gardini.html             20 febbraio 2016