I
Mi dicono di lui che è un buon partito,
ma così serio sempre che un po’ temo
la mia vita futura, e il marito
che sarà. A notte veglio a lungo, e tremo.
Però di giorno, nel sentir cantare
per le strade sull’aria di Casella
quella ballata sua che invita a amare,
allora mi consola la mia stella.
Un altro ci sarebbe che mi piace,
ma il mio pensiero non è mai costante.
So ciò che devo per avere pace,
e non farò quello che fanno tante.
Per questo il cuore si rassegna e tace;
gliel’ordino. Il mio promesso è Dante.
II
L’ho visto oggi, in allegra brigata,
per la via che il sestriere divide.
Non mi ha guardato, finché sono entrata
in chiesa: poi li ho sentiti ridere.
Si potrebbe pensare si vergogni
di portare così stampato in faccia
che non vuole privarsi dei suoi sogni.
Forse crede che questo mi dispiaccia.
Pare abbia scelto per le rime un nome
e se ne serva come di uno stemma:
nome di donna che riluce come
la stella diana; ed è uno stratagemma
facile da rimar per chi compone.
Lui scrive Beatrice e pensa Gemma.
III
Ho aspettato il mattino del mio giorno
pregando Dio e facendomi bella.
Mentre la gente si stringeva intorno
lui cercava coraggio in sua sorella.
Stava lì come chi si sente privo
di qualcosa o qualcuno, abbandonato.
Io piangendo troppa gioia mentivo.
Lui taceva, di me forse irritato.
Io sono una Donati, io; antica
e nobile famiglia, che a confronto
gli Alighieri scompaiono. Non dicano
che mi ha fatto un onore, è un affronto
che l’una all’altra gente fa nemica.
Io non voglio pagare nessun conto.
IV
Gli ho fatto un maschio. L’ha chiamato Pietro,
scegliendo un nome che di Cristo vive,
e senza uscire dal suo umore tetro
è tornato nella sua stanza a scrivere.
Fa così perché è un genio. L’ho capito
che le gioie di tutti non lo toccano.
Non posso domandare a un tal marito
di pendere da ciò che ho sulla bocca.
Mi sono messa a frugare le carte
con la speranza di trarne la prova
che a interessarlo non è solo l’arte,
che l’esistenza in famiglia gli giova,
e ne scrive. Chissà se almeno in parte
a me dedicherà la Vita nova.
V
Alcuni su Firenze ci si impinguano:
lui ama la città più di se stesso.
E’ questo che lo perde, e la sua lingua.
Io mi aspettavo ciò che fanno adesso.
I migliori non hanno mosso un dito
quando la casa ci è stata distrutta;
lui per fortuna era via, partito
per sempre. Ma io, Gemma, ero lì, tutta.
Come fanno da sempre i peregrini
che nelle corti sopportano il giogo,
scriverà, amerà, farà gli inchini.
Con se stesso, sta bene in ogni luogo.
Sarò sola per anni, coi bambini;
sono sposata a un condannato al rogo.
VI
So della donna di cui Dante dice
beato e beatifico il sorriso,
colei cui diede nome Beatrice
fingendo di seguirla in Paradiso.
Alcuni pensano esista davvero,
altri sia morta ormai da molti anni.
Guardate quanti stravolgono il vero
per vederlo vestito d’altri panni!
Si narra poi che gli vive lontana,
che in gioventù l’ha avvicinato a Dio:
ho sentito ripeter che è toscana
– di Firenze –, proprio del borgo mio.
Credano gli altri a una memoria vana.
Quella che l’ha ispirato, sono io.
In Rosa rosse rosa, Bertani, Verona 1986.