GIUSEPPE GENNA, HISTORY – MONDADORI, MILANO 2017

Questo nuovo romanzo di Giuseppe Genna (che si conferma essere il più funambolico, metafisico e carnale, politico e antipolitico, dei nostri narratori) si intitola History, a suggerire l’ambizioso progetto di una scrittura capace di fondere insieme passato e presente, vicenda individuale e destini universali, mito-scienza-cronaca-religione in una scrittura onnivora, lampeggiante, complessa. Un libro di grande rilievo, quindi, come a me sono sempre parsi tutti quelli scritti da questo autore di origini siciliane, nato a Milano nel 1969, che sa spaziare dal pamphlet alla giallistica, dalla biografia storica alla fantascienza, dalla critica sociale a quella letteraria.

Il primo dei sei capitoli in cui si suddivide il corposo volume si apre sull’agonia del nonno novantenne del protagonista bambino, nell’atmosfera morbosa e lugubre di uno squallido appartamento in un caseggiato popolare della periferia milanese. Il vecchio fatica a morire, i parenti riuniti intorno a vegliarlo sembrano insofferenti (se adulti), spaventati o ipnotizzati dalla rivoltante fisicità della malattia, se ragazzini («Perché siamo nei corpi, o dio padre?»). Il terrore e lo schifo del nipotino si mescola all’osservazione minuziosa dello scrittore adulto, nella descrizione dei volti, degli atteggiamenti e dell’arredamento fatiscente, insieme a slabbrati e rabbiosi ricordi infantili, a squarci di cronache lontane (Alfredino Rampi, Aldo Moro, Manuela Orlandi…), che sempre insistono sulla violenza fatta a chi non può difendersi. Allora l’hinterland proletario diventa teatro della millenaria sopraffazione dei ricchi sui poveri, e si anima di “un assolutismo di desolazione”, di “sconsolatezza” nel grigiore degli ospizi per vecchi, degli uffici comunali, dei giardinetti spelacchiati, delle architetture fasciste, delle parrocchie deserte; ma anche nella sordida brutalità del macello comunale, nella disperazione dei tossici o nella minaccia costante del pedofilo del quartiere. L’infanzia è mitizzata solo in quanto appartiene al passato, e perché «crescere significa diventare cadaveri a metà». Una volta divenuti adulti, falsi e colpevoli sempre, «siamo qualunque cosa, siamo una cosa qualunque».

Su questa intercambiabilità e interdipendenza dei destini umani, proiettati nei capitoli successivi in un’attualità e in un futuro sinistramente indecifrabili, si interroga Giuseppe Genna. Dopo lo straordinario ANTEFATTO introduttivo, la sua scrittura s’incunea feroce nel presente di questa nostra Italia malata e insoddisfatta, che arranca dietro ai modelli mondiali di un progresso disumano, fantascientifico, distopico. Dal ritratto esilarante del Ministro della Cultura, inadeguato al suo ruolo e insulsamente enfatico, si passa alla spietata disamina dei miti contemporanei della supermassa, imbottigliata nelle autostrade e negli autogrill, cementata in grattacieli iperbolici dai giardini pensili, mimeticamente rimbambita dalla «festa macabra euforica» di Halloween: robotizzata, disanimata, omogeneizzata, spiata, corrotta, controllata da droni e computer e finanza marcia. «Il denaro ha raggiunto una tale estensione e intensità, scomparendo dietro quinte poste dietro quinte che stanno dietro quinte, indefinitamente, il denaro ha raggiunto un tale stadio evolutivo che: non esiste più».

In questo quadro desolante di umanità sorvegliata ed eterodiretta nemmeno l’arte si salva, e anche la coscienza dell’intellettuale si riduce al ruolo di grillo parlante, di vox clamans fagocitata dal potere. L’autore viene reclutato dal grande editore che non è più interessato alla sua opera, ma solo a controllare la sua mente, esattamente come controlla la mente di tutti. L’incontro deflagrante e rivelatore avviene inaspettatamente con una bambina autistica, History, figlia di un tycoon dell’economia meneghina, che oppone l’impenetrabilità sofferente del suo cervello alla permeabilità empatica altrettanto sofferente dello scrittore. I due, entrambi vittime di un esperimento scientifico che li sovrasta e finisce per annullarli in una reciproca dipendenza, scoprono una solidarietà quasi fisica, animalesca, che si oppone alla macchina incaricata di decifrare i loro linguaggi, decodificandoli e ricomponendoli, modificandoli per renderli innocui. Malattia e disagio diventano l’unica resistenza possibile contro la civiltà dei tecnopoli ideati dal capitale finanziario, e le poche individualità che tentano una ribellione (un parroco profetico, una sensibile psichiatra, un figlio disperato) sono alla fine ridotte al silenzio.

Giuseppe Genna, maestro nel rappresentare soprattutto la morsa del dolore per cui non esiste consolazione, è consapevole di avere scritto pagine su «lastre di oro mentale», in uno stile caleidoscopico che sembra voler sbranare se stesso, trafelato, corrosivo, sarcastico, poetico, osceno e puro, violento e delicato, ansimante in termini sempre più specialistici – tecnologici, medici, filosofici – e in anglicismi, quasi ad indicare uno spossessamento incontrollato della sua stessa scrittura. Ma quello che gli preme è fare arrivare al lettore un messaggio terrorizzato e terrorizzante riguardo al futuro che ci aspetta, fagocitante, per annullarci come individui: «Non siamo più niente! Più niente!»

 

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www.sololibri.net/History-Giuseppe-Genna.html          5 ottobre 2017